
Il sistema Bindi? Paga sempre Pantalone
Non che prima non lo fossero, ma adesso le associazioni (ad esempio Medicina e Persona) di medici e operatori sanitari ci spiegano in dettaglio perché proprio i cittadini saranno i primi a essere delusi dalla riforma sanitaria di Rosy Bindi.
Se il signor Rossi fa da sé…
Secondo gli ultimi dati del Censis il nostro signor Rossi dal 1990 al 1997 ha visto triplicare la spesa per i propri consumi per la sanità. Perché? Perché non fidandosi affatto del Servizio sanitario nazionale (solo il 16% degli italiani se ne dichiara soddisfatto), sull’esempio di tanti suoi concittadini anche lui in questi anni si è rivolto a strutture sanitarie private. Tant’è che, sempre secondo il Censis, la quota privata della spesa sanitaria sul totale in Italia oggi ha superato il 30% contro una media europea del 23%. Un fenomeno ancora più marcato per la spesa farmaceutica privata, che raggiunge il 48% della spesa totale pro-capite per i farmaci. Nell’ultimo decennio il signor Rossi ha inoltre imparato a tutelarsi da solo contro i rischi connessi alla propria salute. Tant’è che dal 1991 il valore dei premi assicurativi del ramo vita e malattia è quadruplicato, riguardando ormai il 29% delle famiglie italiane.
Insomma il signor Rossi aveva imparato da tempo che pubblico non significa necessariamente statale, anzi.
La Bindi fa per tre Poi è arrivata la riforma Bindi, la quale si è preoccupa anzitutto di individuare per legge il fabbisogno essenziale degli italiani: “L’individuazione dei livelli essenziali e uniformi di assistenza è effettuata contestualmente all’individuazione delle risorse destinate al Servizio sanitario nazionale, nel rispetto delle compatibilità finanziarie definite per l’intero sistema di finanza pubblica…” troviamo scritto nel decreto di riordino della SSNN. Dunque grazie alla Bindi il signor Rossi scopre che “essenziale” per la sua salute e per quella dei suoi concittadini è ciò che rispetta “le compatibilità finanziarie del sistema”, ovvero, quello che le casse dello Stato si possono permettere. Ma con quali criteri vengono definiti tali livelli essenziali? Domanda legittima dato che, solo per fare un esempio, la spesa sostenuta dalle famiglie per l’assistenza ad anziani non autosufficienti e disabili (non prevista tra i “livelli essenziali”) è stimata dal Censis a 140mila miliardi. Il testo Bindi risponde così: “Sono poste a carico del Servizio sanitario le tipologie di assistenza, i servizi e le prestazioni sanitarie che presentano, per specifiche condizioni cliniche o di rischio, evidenze scientifiche di un significativo beneficio in termini di salute, a livello individuale o collettivo, a fronte delle risorse impiegate”.
E se la Lombardia è un modello…
A parte che si tratterebbe di verificare quanto dell’assistenza sanitaria offerta dallo Stato risponda effettivamente a questi criteri di efficacia in rapporto ai costi sostenuti (comunque alti e pagati con le tasse dei cittadini), non sarebbe ragionevole ricorrere a un sistema pubblico che offra un mix di statale e privato, sottoposto a regole e controlli di efficienza e qualità? Non sarebbe più opportuno che – come avviene già in Lombardia (e sarà un caso che in questa regione i cittadini arrivano da tutta Italia per curarsi?) – al signor Rossi fosse data facoltà di scegliere liberamente in quali strutture pubbliche (statali e/o private) tutelare la propria salute? No, secondo il ministro Bindi sarebbe pericoloso e deleterio per il Sistema sanitario nazionale. Troppo costoso, dice la ministra, e i conti finirebbero fuori controllo. Ma allora perché i dati dello stesso ministero della Sanità la smentiscono? La tabella qui pubblicata mostra che l’unica Regione italiana, la Lombardia, che ha riconosciuto ai cittadini il diritto di libero accesso a tutti i servizi accreditati si colloca agli ultimi posti come valore complessivo della spesa e al settimo come disavanzo pro-capite. Inoltre, con una percentuale di autofinanziamento superiore all’80% è il principale esportatore di prestazioni sanitarie alle altre Regioni con un beneficio quindi per l’intera sistema nazionale. Un modello, alla prova dei fatti, moderno ed efficiente.
La Bindi mena con l’ombrello (di stato e dal signor Rossi pagato) Ma alla Bindi non va di riconoscere alla giunta Formigoni di aver fatto una riforma che proietta la Lombardia in Europa. Per questo la ministra si barrica nei suoi uffici romani ed escogita la sua soluzione geniale: incorporare la spesa privata nel fondo sanitario nazionale. Per garantirsi la famosa esclusività di rapporto dei medici con le strutture pubbliche, la riforma Bindi non prevede infatti nessun investimento. Tant’è che per garantire la libera professione all’interno degli ospedali pubblici si utilizzeranno gli ambulatori privati dei medici (i quali per la prestazione verseranno un dazio allo stato), mentre se il signor Rossi, ricoverato in un ospedale pubblico, vorrà scegliere il medico cui affidarsi accedendo al “privilegio della libera professione aziendale”, dovrà spendere di tasca propria. Però, dice la riforma Bindi, il signor Rossi non ha di che preoccuparsi: le sue spese saranno coperte dallo stato attarverso fondi integrativi costituiti all’uopo. O bella? E da chi saranno pagati questi fondi? Ma naturalmente dal signor Rossi! Il quale, come abbiamo visto, oltre ad aver perduto la libertà di cura, se prima aveva provveduto a farsi una propria assicurazione privata ora se la vede di fatto statalizzare. Risultato finale della stupenda riforma? Con una mano il signor Rossi paga il servizio sanitario nazionale, con l’altra ciò che il servizio sanitario nazionale non può dare, ma vuole comunque gestire. Se prima per scegliere si pagava due volte, adesso si paga due volte per scegliere la premiata azienda sanitaria statale Bindi&C.
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