L’annuncio che l’annuale parata dell’orgoglio gay quest’anno si svolgerà a Roma, il 6 luglio e dunque nel pieno delle celebrazioni del Giubileo cristiano, ha dato il “la” a qualche comprensibile polemica. Dato che questo giornale ha la pretesa di avere una qualche utilità alla formazione di un giudizio indipendente, tra le tante voci che si sono levate per esprimere un’opinione sulla questione, ci sembra opportuno segnalare gli interventi di Giuliano Ferrara sul Foglio settimanale e l’articolo di Antonio Socci su Il Giornale.
Il ragionamento di Ferrara è il seguente: così come i gay hanno tutto il diritto di riunirsi per la giornata mondiale dell’orgoglio omosessuale, la Chiesa ha altrettanto diritto di dire la sua in merito. “Per Roma cattolica, e per la sua chiesa, un raduno gay nel corso del Giubileo cristiano è sicuramente una sfida, forse una provocazione” scrive Ferrara, e “c’è da giurare che la scelta di Roma non è casuale”. Dunque, osservazione numero uno: “il primo che menerà scandalo per l’opposizione vaticana al raduno si macchierà di flagrante ipocrisia”. Secondo punto: premesso che non abbiamo niente da obbiettare sul movimento gay – dice l’Elefantino – e anzi gli riconosciamo dal nostro punto di vista di aver fatto progredire il quadro generale dei diritti della persona “Chi ha assistito almeno una volta alle grandi gay parades che attraversano le strade di New York o di Parigi sa di che si tratta. Agli occhi di un osservatore anche disinteressato, queste sfilate appaiono come manifestazioni o irruzioni del diabolico nella vita moderna. Se non si vuole essere ipocriti, bisogna riconoscerlo”. Terza osservazione: “anche chi sia libero pensatore, chi sia sospetto di nichilismo agnostico o ateo, non può non riconoscere che la massificazione su grande scala del culto collettivo della sessualità non procreatrice è una bomba linguistica che solo nell’ipocrisia del politicamente corretto è riassorbibile”. “Dietro la bandiera dell’uguaglianza e della conquista della normalità, bandiera benedetta, c’è lo scandalo della differenza assoluta e del proselitismo irreligioso, con il vento forte di un immoralismo consapevole, conclamato, lanciato come un ordigno di guerra nella pace apparente della società a struttura e a condizione familiare”. Conclusione di Ferrara: “Sfilino dunque i gay, ma prepariamoci a un grado di tolleranza talmente robusto da inglobare i conflitti, le repliche, le proteste e i disagi che le parate del diavolo nel simbolico anno giubilare inevitabilmente provocheranno”.
Antonio Socci completa il ragionamento su Il Giornale, portando sull’argomento documentazione filologica e storica. Il bel gesto giornalistico dell’arguto senese prende spunto da una notizia apparsa sul Le Monde, ci informa che alla polemica Vaticano-Rutelli fa da pendant un dibattito in corso in Gran Bretagna (dove Blair sembra intenzionato ad abrogare una legge che proibisce di promuovere l’omosessualità in scuole, licei e collegi) e osserva che, anche nel caso londinese, sembrerebbe che ci troviamo al cospetto dell’annosa contrapposizione tra cultura laica libertaria e moralismo religioso in materia di sesso. E invece Socci dimostra l’infondatezza del luogo comune, chiamando sul banco dei testimoni anzitutto la laicista e femminista Camille Paglia, autrice di Sexual personae (tradotto in Italia da Einaudi). Leggiamo un passaggio chiave dell’articolo di Socci: “C’è un mito, nella cultura occidentale, che sospira: ‘Oh, lieti giorni del paganesimo, quando ci si dava al bel tempo sul verde dei prati’. Questa ‘idea sentimentale’, secondo la Paglia, ‘è completamente infondata, Catullo, come Baudelaire, ci offre un repertorio di immagini di squallore e sporcizia’, è ‘l’alterarsi e il disfarsi della persona romana’. Conclude la femminista: ‘Tutti i codici morali sono degli impedimenti, sono solo relativi e artificiali. Eppure sono stati di enorme giovamento alla civiltà. Sono la civiltà. Senza di essi siamo sopraffatti dalla caotica barbarie del sesso, dalla tirannia della natura’.” La libertà sessuale sinonimo di felicità? “La Paglia lo nega: ‘le vite degli imperatori romani dimostrano l’inadeguatezza del nostro moderno mito della libertà personale. Costoro erano uomini del tutto liberi e al tempo stesso disgustati della propria libertà. La liberazione sessuale, questo nostro illusorio miraggio, si conclude nella spossatezza e nell’accidia’”. Commenta Socci: “Tutto questo dovrebbe far pensare alle parole della Chiesa con più attenzione. Altro che sessuofobia e moralismo”. Ed ecco il colpo di genio finale: Socci scopre “nei vangeli un episodio di omosessualità” che riguarda il capo della guarnigione romana di Cafarnao e ricorda come il Vangelo narra che, per tramite dei notabili del paese, questo capo romano fece chiedere a Gesù di guarire il suo “giovinetto” che stava per morire e come in effetti poi guarì. Con precisione filologica Socci nota che “Matteo scrive proprio ‘pais’, giovinetto, mentre Luca scrive ‘servo’, ma spiega che ‘il centurione l’aveva molto caro’” e che “quello che colpisce è l’atteggiamento di Gesù, che non si scandalizza dei peccati, ma resta commosso dalla fiducia di quell’uomo in lui”. Moralità cristiana è infatti, nota Socci, “la fede e l’abbandono in Lui”. Tant’è che “la Chiesa da secoli fa ripetere le parole del centurione a ogni cristiano, in ogni messa”. Per questo, conclude Socci “oggi, davanti alla giornata dell’‘orgoglio omosessuale’, la Chiesa non ha paura della parola ‘omosessuale’, ma della parola ‘orgoglio’, ritenendo che di nulla può essere orgoglioso davanti a Dio. Perché – come disse Lutero -‘siamo tutti mendicanti’”.