Gabriele Kuby è sociologa, scrittrice e madre di tre ragazzi. È stata impegnata nei movimenti studenteschi del ’68 tedesco. Ha lavorato per oltre vent’anni come traduttrice nell’ambito dell’esoterismo e della psicologia e infine nel 1997 è diventata cattolica. Il suo primo libro (Mein Weg zu Maria – Von der Kraft lebendigen Glaubens, La mia strada verso Maria – Sulla forza della fede viva) è stato un best-seller. Come pubblicista e operatrice pubblica concentra il suo interesse sui vicoli ciechi intrapresi dalla società moderna, indicando la via d’uscita in una nuova coscienza dell’esperienza cristiana. Il suo ultimo, recente libro (Die Gender-Revolution. Relativismus in Aktion, La rivoluzione Gender. Relativismo in azione), rappresenta un grido d’allarme indirizzato a tutti gli Stati membri della Comunità europea: in ogni ambito del vivere pubblico va riconosciuta come fondamento della famiglia la differenza sessuale tra uomo e donna.
Lei ha vissuto il ’68 a Berlino e oggi pubblica un libro sulla cosiddetta “rivoluzione gender”. C’è una continuità tra l’impeto rivoluzionario sessantottino e quello odierno?
I rivoluzionari comunisti della generazione del ’68 hanno riconosciuto alla fine degli anni Settanta che il “proletariato” non era mobilitabile e che la strada della provocazione violenta allo Stato (ad opera della Raf) non produceva alcun successo. In ragione di ciò venne forgiato il motto “Avanti, attraverso le istituzioni”, trasformato conseguentemente in azione. Oggi i quadri del ’68 detengono le leve di comando della politica, dei media e della giustizia. Realizzano ora la rivoluzione dall’alto presso le Nazioni Unite, nell’Unione Europea e nei governi dei singoli Stati membri. Nazioni che si rifiutano di adeguarsi vengono rimesse in riga con l’uso di mezzi economici.
Lei parla spesso di “dittatura del relativismo”. Trova che vi sia una relazione tra il relativismo inteso come ideologia totalitaria e le nostre democrazie occidentali?
Il cardinale Joseph Ratzinger nei suoi scritti ha ammonito continuamente rispetto alla “dittatura del relativismo” e lo fa ancor oggi come Benedetto XVI. Io credo che quando una società fa propria la concezione dei filosofi relativisti, secondo la quale la verità e il bene non possono essere riconosciuti, essa si consegna all’egoismo illimitato. Come evidenziato da Toqueville in La democrazia in America, la democrazia si fonda su presupposti pre-politici, cioè, la maggioranza degli uomini desidera il bene. E di questo si è occupata anzitutto la religione. Quando gli uomini non tendono più verso il bene allora, da quel preciso momento, la strada che conduce dalla democrazia al totalitarismo è molto breve. Ebbene, noi ci troviamo oggi su questa strada. Il superamento dell’imminente indigenza, soprattutto attraverso la crisi demografica, ne sarà la leva.
Lei descrive la rivoluzione gender come “relativismo in azione”: che cosa intende con “decostruzione di femminilità e di mascolinità”?
In pochi conoscono il significato e la portata del termine “gender”, sebbene sia divenuto il “principio guida e l’obiettivo trasversale” della politica dell’Onu, dell’Unione Europea e dei singoli Stati. Questo concetto presuppone il fatto che qualsiasi orientamento sessuale – eterosessuale, omosessuale, bisessuale e transessuale – sia equivalente e debba essere accettato dalla società. L’obiettivo è il superamento dell'”eterosessualità forzata” e la creazione di un uomo nuovo, cui viene lasciata la libertà di scegliere e godere la propria identità sessuale indipendentemente dal suo sesso biologico. Chiunque si contrapponga a ciò, singole persone o Stati, viene discriminato come “omofobo”. Si tratta di un attacco mondiale all’ordine della creazione e, così facendo, all’intera umanità. Esso distrugge il fondamento della famiglia e in questo modo consegna ai despoti l’uomo che non sa più se è uomo o donna.
Serve una controrivoluzione sessuale?
La sessualizzazione senza confini del mondo occidentale distrugge il singolo e la società. La prossima generazione, cui noi stiamo accollando enormi debiti – finanziari, ecologici e morali – dovrà liberarsi da questo pantano. Il collasso della famiglia e il caos nelle relazioni di cui soffrono i giovani oggi è la grande carestia del nostro tempo. L’evangelizzazione dovrebbe iniziare da questa indigenza e indicare ai giovani una via che conduca ad una vita piena e felice. La buona novella è questa: ciascuno può iniziare ora e trovare in sé il fondamento su cui poter erigere la casa-famiglia.
In Italia la Chiesa cattolica è accusata di ingerenze nella politica. Ritiene che la Chiesa cattolica italiana possa svolgere oggi un ruolo particolare per l’intera Europa?
Per me è un segno di speranza il fatto che la Chiesa cattolica in Italia offra ai credenti la propria posizione su questioni politico-sociali attraverso una chiara formulazione pubblica. Sentir parlare di “diktat” fa sorridere, perché la Chiesa possiede solo lo strumento dell’annuncio della verità. Il processo di distruzione della famiglia portato avanti dallo Stato è a buon punto in molti paesi occidentali senza che la Chiesa e i cristiani possano opporvisi seriamente. In Germania verso la metà di questo secolo ci saranno altrettanti musulmani quanti residenti d’origine tedesca: per che cosa dobbiamo combattere se non vogliamo vivere sotto la sharia? Per la famiglia omosessuale forse? Così come la Chiesa viene oggi accusata, in particolare da chi non crede, di non essersi mobilitata abbastanza contro il nazionalsocialismo, così allo stesso modo verrà di nuovo attaccata allorquando il collasso demografico dello Stato sociale renderà chiaro alle prossime generazioni quali ne saranno state le cause. Allora la testimonianza dei Papi (e io ringrazio Dio per il dono di papa Ratzinger) e di alcuni pastori capaci di parlare con chiarezza sarà illuminante.
Reg. del Trib. di Milano n. 332 dell’11/6/1994
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Emanuele Boffi