Il Deserto dei Tartari

Il primo che disprezza la Costituzione è proprio Antonio Ingroia

Di Rodolfo Casadei
02 Novembre 2011
Giornalisti e politici giustificano l'intervento di Antonio Ingroia alla manifestazione del Partito dei comunisti italiani. Per loro, infatti, il magistrato ha presenziato all'incontro con il solo obiettivo di difendere la Costituzione. Ma siamo certi che sia così? O, più probabilmente, Ingroia si sta preparando alle elezioni che potrebbero avere luogo tra breve?

C’è un’ultima foglia di fico da strappare perché appaia chiaro a tutti che magistrati come Antonio Ingroia non servono la giustizia, ma il loro personale disegno rivoluzionario. Questa foglia di fico si chiama “difesa della Costituzione”. Giornalisti e politici che giustificano l’intervento del Pm palermitano asseriscono che non c’è nulla di male nel fatto che abbia partecipato a una manifestazione di partito, perché non lo ha fatto per sostenere idee di parte, ma per difendere la Costituzione, collante della nazione. No, cari miei, non offendete l’intelligenza degli italiani con questa faccenda della Costituzione in pericolo che ha bisogno di interventi irrituali dei servitori dello Stato per non essere stravolta. A Ingroia della Costituzione e della sua difesa non gliene potrebbe importare di meno: è semplicemente il pretesto che gli permette di portare avanti la sua agenda politica. Ingroia strumentalizza il suo ruolo di servitore dello Stato a fini politici, e lo fa in due modi. In primo luogo cerca di influenzare l’opinione pubblica prestando il suo volto a una manifestazione di partito: le elezioni forse si stanno avvicinando, e per il Partito dei comunisti italiani (Pdci) è una bella pubblicità poter ostentare la benedizione di un magistrato impegnato in inchieste sulla mafia ad alti livelli, che ha indagato anche su politici della parte politica avversa e che può asserire di rischiare ogni giorno la vita nella sua lotta contro il male per il trionfo del bene.

 

Perché l’operazione propagandistica riesca ovviamente Ingroia non deve salire sul palco del congresso e dire «condivido il vostro programma di istituire un sistema comunista in Italia»: questo scoprirebbe il gioco. Deve dire, come ha fatto, “io sono un giudice imparziale, ma sono un partigiano della Costituzione”. Certo, con la falce e martello sullo sfondo, simboli che alludono a ben altro che alla Costituzione italiana, lo spot non riesce proprio bene, ma pazienza. Calcolando anche l’effetto reazione, cioè le proteste del Pdl e dei giornali vicini al Pdl, Diliberto e Ingroia certamente il risultato di spostare un po’ di voti di elettori ostili all’attuale governo sul Pdci l’hanno ottenuto. Il secondo modo attraverso cui Ingroia manca di rispetto alla Costituzione, la strumentalizza per i suoi scopi personali e si manifesta come magistrato fazioso e perciò indegno del ruolo che ricopre, è il contenuto intimidatorio del suo intervento: «Fra chi difende la Costituzione e chi quotidianamente cerca di violarla, violentarla, stravolgerla, so da che parte stare». Ora ditemi voi che cosa dovrebbe pensare un politico italiano, o anche semplicemente il militante di un partito che nel suo programma prevede riforme che modificherebbero anche articoli della Costituzione.

 

Cosa dovrebbe pensare chi, legittimamente e con metodi non violenti, dissente da contenuti dell’attuale Costituzione. Ingroia è un Pm: può ordinare inchieste e richiedere provvedimenti restrittivi della libertà personale. Se io sono un politico, o un militante di partito, o un semplice cittadino che pensa che la Costituzione è troppo vecchia, che il Pdci non è un buon partito, e che non tutto quello che i partigiani (evocati da Ingroia, tesserato Anpi, nel suo intervento) hanno fatto in Italia fra il 1943 e il 1946 è commendevole, come faccio a non sentirmi minacciato, ricattato, coartato nei miei diritti politici? Di nuovo, Ingroia usa della sua veste di magistrato per avvantaggiare la sua fazione politica: con le sue parole semina la paura fra gli avversari e trascina in una trappola i meno paurosi; costoro reagiranno alla sua invettiva, e allora lui potrà ribadire che è proprio vero che il paese è pieno di nemici della Costituzione. Che nell’immaginario dei neo-comunisti (e non solo nel loro) hanno preso il posto dei nemici del popolo.

 

Ma tutto questo, potrebbe replicare qualcuno, non dimostra che Ingroia sia effettivamente fazioso nelle inchieste che conduce. Avrà anche intaccato il prestigio della magistratura, avrà anche strumentalizzato la toga a interessi di parte (già Ingroia ha partecipato a una manifestazione dell’Italia dei Valori in difesa della Costituzione, ma in realtà per poter dire la sua contro la proposta di legge sulle intercettazioni telefoniche), ma resta da dimostrare che le sue inchieste siano partigiane e non ispirate all’obbligatorietà dell’azione penale prevista dalle leggi italiane. Certo, la prova investigativa della faziosità delle inchieste di Ingroia tuttora non esiste. Forse per trovarla più che le sue telefonate bisognerebbe intercettare i suoi pensieri. Ma ci sono indizi piuttosto eloquenti. Due settimane fa Ingroia ha preso la parola per dire che la Procura di Palermo sta tuttora indagando sulla famosa trattativa Stato-mafia del 1992 nell’ottica del mancato omicidio di alcuni esponenti politici che figuravano sulla “lista nera” della mafia. «I politici vennero risparmiati – ha detto a margine del Forum nazionale contro la mafia in corso a Firenze – ed è oggetto della nostra indagine verificare se questo cambio di obiettivo strategico, perché poi si uccise Borsellino, si fecero le stragi nel ’93, fu determinato anche da un parziale esito della prima trattativa». Questo Ingroia che chiede con fare sospettoso ai politici “Perché non siete morti? Perché non vi hanno mai ammazzato?” non è meno inquietante di quello che sale sui palchi dell’Idv e del Pdci. Ha decisamente l’aria di uno che vuole gettare sospetti su tutto e su tutti, e non per ragioni ispirate a cristallino amore per la giustizia.

 

Ma c’è un’altra indagine che illumina a mio parere in modo ancora più deciso la faziosità dell’Ingroia magistrato: quella sulla morte di Salvatore Giuliano. Sessantatrè anni dopo la strage di Portella della Ginestra e sessanta dopo la morte del bandito, Ingroia impegna risorse dello Stato, cioè denaro dei contribuenti, per fugare il dubbio, avanzato da autori di libri su Giuliano, che il cadavere ritratto in due foto diverse del tempo sia lo stesso e che i resti sepolti nel cimitero di Montelepre siano effettivamente quelli del bandito. L’interesse degli scrittori nella grottesca vicenda è chiaro: devono vendere i loro libri, e a questo fine ogni trovata è buona. Ma perché un prestigioso Pm si presta alla sceneggiata? Non sarà che il fatto che Salvatore Giuliano abbia compiuto una strage a danno di esponenti del Partito Comunista e del movimento dei lavoratori abbia pesato sulla decisione? Non è che a Ingroia piace l’idea di indagare su uno stragista anticomunista, purtroppo morto troppi anni fa per indagarlo da vivo? Quanto tempo andranno avanti queste indagini? Quanto polverone si potrà sollevare? Nel frattempo le elezioni, che come Ingroia ha ricordato ai giornali «in questo momento non ci sono», un bel giorno ci saranno. E allora, sono sempre parole del Pm palermitano, «i magistrati hanno diritto sia all’elettorato passivo che a quello attivo».

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4 commenti

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