Sì, d’accordo, la globalizzazione e la liberalizzazione integrale del commercio hanno le loro controindicazioni: le biotecnologie devono essere scrutinate severamente prima di essere diffuse su larga scala, l’abolizione totale dei sussidi all’agricoltura spazzerebbe via i nostri contadini, l’apertura totale alle merci del terzo mondo vuol dire perdere posti di lavoro in Europa e fare spazio a sistemi economici dove il lavoro, compreso quello infantile, è sfruttato alla grande. Ma un fatto è certo: la progressiva liberalizzazione del commercio mondiale ha prodotto, negli ultimi cinquant’anni, un di più di ricchezza altrimenti difficilmente realizzabile. Lo dicono i numeri.
Cinquant’anni fa il livello medio dei dazi doganali si aggirava attorno al 40 per cento del valore delle merci, oggi è sceso al 5 per cento circa. Nello stesso arco di tempo, il prodotto lordo mondiale è quintuplicato in termini reali: se fissiamo a 100 il valore del prodotto lordo dell’anno 1950, vediamo che nel 1995, all’indomani della conclusione dei negoziati del cosiddetto “Uruguay Round”, esso ha toccato quota 500, e continua ad aumentare. Nello stesso tempo il volume del commercio mondiale è andato moltiplicato addirittura per 17: da 100 a 1700.