Il nuovo Consiglio nazionale libico è perfetto: riformista, estraneo all’islamismo e filo-occidentale

Di Rodolfo Casadei
10 Marzo 2011
Due inviati del Consilgio nazionale provvisorio di transizione libico hanno chiesto all'Unione europea di essere riconosciuti come i nuovi legittimi rappresentanti della Libia. Catherine Ashton ha respinto la richiesta ma forse ha sbagliato, anche se sono inesperti e disorganizzati

I giorni a venire diranno chi ha perso la grande occasione: se i due inviati del Consiglio nazionale provvisorio di transizione libico, che non sono riusciti a ottenere di essere riconosciuti come i nuovi legittimi rappresentanti della Libia dall’Unione Europea, oppure l’Ue stessa, che per bocca dell’Alto rappresentante per la politica estera Catherine Ashton ha respinto la richiesta dichiarando di non avere il mandato per accettarla, fra le proteste dei pochi eurodeputati presenti ieri nell’emiciclo di Strasburgo.

Oggi a Bruxelles Mahmoud Gebril e Ali al-Esawi, i due rappresentanti diplomatici dei ribelli libici, ci riproveranno, cercando di incontrare quanti più ministri degli Esteri e dirigenti della Ue possibili. Vengono da Parigi, dove hanno registrato il loro primo successo. Il loro profilo, così come quello di Mustafa Abdel Jalil, il presidente del Consiglio di 30 rappresentanti che siede a Bengasi, dovrebbe far gola ai governi europei: si tratta di esponenti del sistema cooptati nel decennio scorso, nel quadro degli sviluppi seguiti all’abolizione delle sanzioni internazionali contro Gheddafi e delle aperture interne del regime, che sono passati con l’opposizione quando le forze di sicurezza hanno represso con brutalità le prime proteste popolari.

Sono riformisti sostanzialmente filo-occidentali, estranei alle correnti islamiste
. Ali al-Esawi, diplomatico di carriera, è stato ministro del Commercio ed era fino all’altro ieri ambasciatore in India, ma prima di quell’incarico era una delle personalità chiave a cui le imprese straniere si rivolgevano per poter investire in Libia. Gebril era un oppositore in esilio richiamato da Saif Gheddafi e messo a capo dell’Economic Development Board, che doveva liberalizzare l’economia interna e attirare investimenti internazionali: si era dimesso l’anno scorso protestando contro le chiusure dei conservatori del regime.

Abdel Jalil, divenuto ministro della Giustizia nel 2007 sempre nel contesto della politica di apertura che Gheddafi padre aveva affidato a Gheddafi figlio (Saif), era noto come l’unico giudice dotato del coraggio di emettere sentenze che sarebbero dispiaciute al regime. Divenuto ministro della Giustizia, aveva più volte criticato i metodi dei servizi di sicurezza e chiesto il rilascio dei prigionieri politici, minacciando le sue dimissioni in televisione. Il suo programma politico è di una semplicità elementare: «Vogliamo un governo democratico, una costituzione imparziale e non vogliamo più essere isolati dal mondo».

I principali difetti di questa leadership sono la disorganizzazione (militare e istituzionale) e l’inesperienza (politica). Ma questi sono anche, dal punto di osservazione, i suoi pregi. «Prima di ora non avevamo alcuna autorità, ce la siamo data da noi stessi. Nessuno di noi ha esperienza politica», ha dichiarato alla stampa la portavoce donna del Consiglio di transizione, Iman Bugaighis.

Proprio per questo l’Europa dovrebbe cogliere al volo l’occasione per legittimare e rafforzare una leadership filo-occidentale ma debole, che lasciata a se stessa sarà facilmente rovesciata dalle forze islamiste o dovrà radicalizzarsi per non essere scavalcata. Mentre ieri a Strasburgo gli inviati libici chiedevano all’Europa di appoggiare gli insorti istituendo una no-fly zone ma senza inviare soldati stranieri sul terreno, da Derna, una delle città “liberate”, il responsabile militare della difesa, un ex combattente islamico in Afghanistan, faceva sapere che gli occidentali devono restare completamente estranei al conflitto.

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