Pochi giorni fa mi è capitato sotto gli occhi un articolo curioso pubblicato dalla rivista “Focus”. Vi si trattava del pianto, l’analisi era condotta con precisione scientifica, con tanto di percentuali degli elementi componenti le lacrime, ed anche vi si sottilizzava sulle differenze chimiche tra un tipo di pianto e un altro, a seconda che la loro causa presumibilmente derivasse da capriccio piuttosto che da dolore: insomma un articolo piuttosto ben fatto e solidamente organizzato, e pure onesto (cosa rara di questi tempi, sulla stampa nazionale) nelle sue conclusioni… Già, perché al finale di tutto l’articolista confessa che, pur avendo puntualmente registrato a posteriori per cosa si è pianto, sventagliando una serie pressoché infinita di possibili moventi, in effetti l’unica cosa che non si è riusciti a scoprire è perché si sceglie di piangere, e non di ridere, ad esempio, in certe situazioni. In pratica l’impressione che ho tratto dalla lettura, pur interessante, di questo articolo è che più ci addentreremo nell’aspetto scientificamente controllabile della natura umana più ci allontaneremo dalla sua indimostrabile essenza, quasi che, per effetto distorto di qualche legge imperscrutabile, il nostro avvicinarsi alla meta della conoscenza coincida con il suo allontanarsi ineffabilmente da noi. Valga per tutti l’esempio “Big Bang”, che ha solo aumentato il mistero che pretendeva di chiarire. Non resta che aspettare: la razionalità ci porterà sempre più vicini (perché lontani) al Miracolo…
Reg. del Trib. di Milano n. 332 dell’11/6/1994
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Emanuele Boffi