Il ministro Clini a Tempi: «L’Ilva si può risanare»

Di Chiara Rizzo
04 Ottobre 2012
«Con le nuove direttive imporremo di risanare gli impianti. La società potrà continuare a operare. Investendo quel che deve». Parla il ministro Clini

Pubblichiamo l’intervista al ministro dell’Ambiente Corrado Clini, che appare sul numero di Tempi in edicola

Da una parte i 15 mila operai dell’Ilva che rischiano di rimanere per strada. Dall’altra la perizia epidemiologica consegnata al gip: sono attribuibili alle emissioni dell’acciaieria almeno 40 decessi e 120 ricoveri, solo tra il 2004 e il 2010 e tra i residenti dei quartieri vicini. Tra il 1998 e il 2010 si registrano in tutto 386 decessi, 237 ricoveri per tumori maligni, 937 per malattie respiratorie, in gran parte riguardanti bambini, con 48 ricoveri pediatrici all’anno. Operai contro residenti, il colosso della siderurgia contro la magistratura. In questi mesi Taranto è lacerata dalle contrapposizioni. Una speranza di sciogliere il nodo è riposta nella nuova Autorizzazione integrata ambientale (Aia), che imporrebbe all’Ilva nuove prescrizioni se vuole rimanere aperta. «Io voglio che l’Ilva sia risanata», assicura a Tempi il ministro dell’Ambiente Corrado Clini.

Ministro Clini, cosa può anticiparci?
Ho dato l’indicazione che la nuova Aia per l’esercizio dello stabilimento di Taranto stabilisca di adottare a partire dal 2012 gli obiettivi di qualità ambientale e le tecnologie da impiegare per minimizzare i rischi per l’ambiente e la salute, fissati dalla Ue e che entreranno in vigore nel 2016. Sono le più severe e restrittive prescrizioni applicate a un impianto siderurgico in Europa. Nel concreto gli impianti dovranno ridurre in maniera molto drastica l’emissione di polveri, di ossidi di ferro, di benzo(a)pirene. Tutte queste emissioni finora erano regolate dalle prescrizioni europee entrate in vigore nel 2001, mentre la nuova Aia anticipa quelle del 2016.

Alessandro Marescotti di Peacelink l’accusa di poca trasparenza e di non aver ascoltato il consiglio delle associazioni: «Temiamo che si vada verso una “soluzione all’italiana”» dice.
Le affermazioni di questo signore dimostrano l’inconsistenza delle sue argomentazioni. Marescotti chiede l’applicazione di una norma del 2005, la stessa su cui si basava la prima Aia del 2011, abbondantemente superata dalle prescrizioni Ue che entreranno in vigore. Ricordo che stiamo lavorando per aggiornare l’Aia approvata nell’agosto 2011 dall’allora ministro Prestigiacomo e dal presidente della Puglia Nichi Vendola, con una procedura durata circa 5 anni. Non è “sano” tenere aperta una procedura di autorizzazione così a lungo, quando negli altri paesi europei bastano pochi mesi, per poi concluderla con 462 prescrizioni contraddittorie, rappresentative dell’esigenza di “dare ragione a tutti”, azienda, Regione, enti locali, associazioni ambientaliste, senza affrontare e risolvere in modo chiaro ed efficace i nodi: non a caso abbiamo dovuto riaprire la procedura. Ora le associazioni come quella di Marescotti chiedono di nuovo che tutte le loro indicazioni siano riportate nell’Aia, come nel 2011. Evidentemente Marescotti e i suoi sodali pensavano che il ministro fosse disponibile ad aprire “il mercato” sull’Aia. La mia responsabilità è firmare un’Aia con prescrizioni chiare e inequivocabili. Dopo di che, se l’Ilva le applica prosegue a lavorare, altrimenti chiude. Io voglio che quella fabbrica sia risanata.

L’Aia 2011 fu approvata anche dall’allora ministro Prestigiacomo, e lei all’epoca era già al dicastero come direttore generale. Con quali responsabilità?
Da direttore generale mi occupavo di questioni internazionali, non avevo la responsabilità delle procedure di autorizzazione ambientale e non sono stato mai, mai, coinvolto in quella dell’Ilva, né informato.

Pochi ricordano che lei è stato anche un medico del lavoro, e tra il 1975 e il ’90 i suoi studi hanno permesso ai lavoratori dello stabilimento di Porto Marghera di veder riconosciuti i danni alla loro salute. Come guarderebbe i dati epidemiologici su Taranto quel medico?
Io sono un medico del lavoro, sempre. Le malattie croniche e i tumori, a Taranto, come a Porto Marghera, o a Brindisi e a Priolo, hanno tempi di latenza molto lunghi e hanno origine da esposizioni avvenute decenni prima. Il primo fatto chiaro è che parliamo dei dati di salute e mortalità di una popolazione esposta a inquinanti ambientali per decenni. Bisogna ricordare che nei decenni scorsi, e sicuramente prima della fine degli anni Ottanta, l’inquinamento raggiungeva livelli molto elevati perché le regole sulle emissioni erano molto meno severe, l’amianto era ancora usato in molte lavorazioni, la benzina e il diesel contenevano prodotti pericolosi in elevata quantità. A partire dai primi anni Novanta le regole sono diventate più severe, dalle emissioni industriali ai carburanti, mentre l’amianto è stato messo al bando. Se confrontate con la metà degli anni Ottanta, le emissioni consentite oggi sono ridotte tra il 70 e il 95 per cento. Di conseguenza non è possibile affermare che nel 2012 la popolazione è esposta agli stessi rischi e subisce gli stessi danni dei decenni precedenti. A questo proposito lo studio Sentieri dell’Istituto superiore di sanità e la stessa perizia sono molto prudenti.

E il secondo dato?
I dati recenti sullo stato di salute della popolazione, che collegano le patologie alla situazione ambientale attuale, sono pochi. L’indagine della procura ha messo in evidenza che la protezione sanitaria della popolazione non lavorativa esposta all’inquinamento ambientale non è organizzata. Manca l’Osservatorio epidemiologico, che avrebbe dovuto essere realizzato a livello locale da molti anni. Per valutare gli attuali rischi per la popolazione bisogna analizzare la qualità dell’ambiente. I dati Arpa su Taranto per il 2011-2012 ci dicono tre cose. Primo, le emissioni di diossina sono state drasticamente abbattute e sono rientrate nei limiti di sicurezza. Naturalmente resta aperta la questione del risanamento delle aree agricole e nell’ambiente urbano fortemente compromesse dalle ricadute al suolo delle diossine nei decenni scorsi. Secondo, le emissioni di benzo(a)pirene, sicuramente emesse dalle acciaierie, sono state ridotte, ma in una delle centraline vicine all’Ilva hanno ancora valori del 30 per cento in più rispetto alla soglia limite. Questo superamento va azzerato senza discussioni, perché è una sorgente di rischio per la salute. Terzo, permane il problema dello spolverio, proveniente dal parco minerario Ilva, e che investe direttamente Tamburi. Questo dimostra la follia con cui è stato amministrato il territorio. È assurdo che allo stesso tempo sia stato autorizzato il raddoppio dell’area del parco all’Ilva e quella del quartiere residenziale, passato da 5 mila a 23 mila abitanti. Anche lo spolverio va eliminato, dato che è sorgente di irritazioni e malattie delle vie respiratorie e quindi di malattie croniche.

Pensa che l’Ilva tenti di scaricare le spese di bonifica sulla collettività?
Stiamo imponendo all’Ilva di risanare gli impianti e investire. Dispiace tanto all’Ilva, quanto a chi ha vissuto di rendita facendo opposizione all’Ilva per anni. Io non gioco con gli uni o gli altri. L’Ilva deve investire, fine dei discorsi.

Come si potranno conciliare le ragioni dei lavoratori con quelle della salute?
Nel contrapporle si sbaglia. Da più di vent’anni tutte le direttive europee, da quelle che riguardano i motori delle automobili a quelle sulle caldaie, hanno come riferimento principale la tutela della salute. I livelli dei permessi di emissione stabiliti dalle direttive sono il risultato di un aggiornamento continuo sulla base delle valutazioni della Organizzazione mondiale della sanità. Per cui oggi la contraddizione tra lavoro e salute è in fase di superamento, per effetto delle regole introdotte negli anni dalle direttive europee.

 

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1 commento

  1. Enrico

    “Stupisce” che in questa vicenda non vengano tirati in ballo gli enti locali, chiaramente colpevoli di omissione di atti d’ufficio, vigilanza sulla salute dei cittadini e del territorio.
    Se fosse successo in Lombardia….

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