Il «film disastroso» di Banca Etruria raccontato ai profani

Di Redazione
11 Maggio 2016
Il Sole 24 Ore ricostruisce sulla base di bilanci e rapporti di vigilanza come le obbligazioni dell'istituto toscano siano finite in tasca ai piccoli investitori

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Il Sole 24 Ore pubblica oggi un interessante articolo di Fabio Pavesi che ricostruisce la crisi di Banca Etruria, senza entrare nelle ipotesi di reato sulle quali sta indagando la magistratura né basandosi sulle versioni delle parti in causa, ma semplicemente provando a riavvolgere «il nastro del film disastroso» sulla base di bilanci e rapporti di vigilanza. L’approccio del quotidiano di Confindustria consente anche ai “profani” della finanza di comprendere a grandi linee – a prescindere appunto da eventuali comportamenti illeciti o presunti tali – come sia accaduto che tanta spazzatura sia finita nel portafoglio dei piccoli investitori, che ora rischiano di seriamente di non rivedere più i loro risparmi.

A CIEL SERENO? Stando alla ricostruzione del Sole, sembra evidente che Banca Etruria abbia quanto meno sottovalutato una «crisi che durava almeno dal 2012». Il crac dell’istituto toscano, scrive Pavesi, è «percepito tuttora come un fulmine a ciel sereno», o almeno «così lo hanno vissuto i soci della banca aretina chiamati fino all’ultimo a mettere i loro denari nell’istituto senza cognizione della gravità della situazione». Eppure l’imminente disastro era stato «più volte annunciato» ai capi della banca.

[pubblicita_articolo]IL VOTACCIO. La data chiave, ricorda il giornalista, è «il febbraio del 2012, ben tre anni prima del commissariamento», quando «i vertici dell’istituto licenziano l’agenzia Fitch». E perché l’agenzia di rating viene cacciata? Perché ha appena assegnato alla banca un voto da “spazzatura”: BB+. Secondo Fitch «già nel 2011» Etruria aveva troppe sofferenze, troppi crediti discutibili, addirittura «un livello doppio rispetto alla media del sistema». Ebbene, «la banca rifiuta il giudizio», ma visto che «ha già oltre 230 milioni di subordinati sul mercato», non può rinunciare anche a collocare nuove obbligazioni. Per colpa del votaccio però «costerebbe troppo» rivolgersi (come da manuale) agli investitori istituzionali, perché questi ultimi «sanno che il rischio è alto» proprio a causa delle sofferenze evidenziate anche da Fitch, e dunque «richiederebbero rendimenti almeno sopra il 7 per cento». Occorre dunque provare a piazzare i titoli a qualcun altro.

L’ALTERNATIVA. «La strategia», continua l’articolo, è «comunicata a chiare lettere nei bilanci» di quel periodo. L’istituto «usa una locuzione astrusa», e cioè «“granulizzare” la raccolta bancaria», ma per Pavesi il significato è chiaro: l’intenzione è «vendere i bond ai piccoli clienti». Peraltro questo cambio di target permette all’Etruria di prendere «due piccioni con una fava»: non solo riesce a piazzare «a piene mani» i suoi bond «anche subordinati», ma riesce a farlo in cambio di «una cedola del 3,5%», la metà di quanto avrebbe dovuto garantire ai “pesci grossi”.

LA CONSOB. Quanto alla banca stessa, «già nell’estate del 2013» è messa male. Il prospetto del collocamento di cui sopra, presentato alla Consob, «è pieno di avvertenze di rischio», scrive Pavesi. La criticità segnalata da Fitch non è rientrata, anzi: due anni dopo quel rating rifiutato, Etruria è appesantita da «crediti malati lordi che sono oltre il 30 per cento del portafoglio, più del doppio delle altre banche». Quanto alle polemiche di questi giorni, si legge nell’articolo, «il presidente di Consob Vegas ha ragione a sostenere che il rischio (elevato) era ben documentato» nel prospetto in questione, «ma Vegas per primo sa che quei prospetti di centinaia di pagine in mano a piccoli clienti della banca senza competenze finanziarie servono a ben poco». Infatti «quel collocamento granulare ebbe grande successo».

BANKITALIA. Per di più, «già nel 2010», anche Bankitalia «in una delle primissime ispezioni» aveva rinfacciato a Etruria «il nodo della sottovalutazione enorme delle partite creditizie in difficoltà», ricorda il giornalista. Secondo gli ispettori della banca centrale «”i crediti in default si approssimano al 14 per cento dell’erogato”. Un numero elevatissimo per l’epoca», quando ancora la crisi delle sofferenze bancarie non era esplosa. Per Bankitalia quelle sofferenze già all’epoca superavano il miliardo, mentre «per la banca erano solo 235 milioni». Fatto sta che, sostiene il Sole 24 Ore, da quel rimprovero di Palazzo Koch del 2010 parte l’assurdo «gioco a rimpiattino tra i vertici della banca, che continueranno a sottostimare l’enorme mole di sofferenze che si accumulava». Insomma, le autorità «hanno sì pungolato anche pesantemente» i boss dell’Etruria, «ma senza effetti». Il baratro si è aperto poi nel 2012: Etruria sarà costretta guarda caso a «svalutare sofferenze per oltre un miliardo». E avanti così «fino alla capitolazione del febbraio 2015». Osserva Pavesi: «Altro che fulmine a ciel sereno».

Foto Ansa

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2 commenti

  1. recarlos79

    una delle banche fallite che ha scaricato i costi sui cittadini e che comanda il governo con i figli dei dirigenti. italia bel paese.

    1. jens

      E purtroppo sempre più banche quando tu accendi un mutuo per qualunque motivo (casa, azienda da far crescere, etc…) ti impongono di acquistare i titoli che dicono loro.
      Il paese va a rotoli, i morti di fame vengono da noi, i cervelli se ne vanno… ma i politici e i loro protetti non fanno una piega: loro, a differenza dei comuni mortali, la pensione ce l’hanno assicurata.

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