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Il caso talidomide, e l’assurdità di usare le mamme (anziché gli animali) come cavie

È meglio sacrificare degli animali per le sperimentazioni di farmaci o correre il rischio di sperimentazioni alternative? Nella polemica tra Giovanardi e la Lav torna il caso del farmaco venduto a donne gravide (e che fece 600 vittime solo in Italia)

Chiara Rizzo
14/09/2012 - 8:27
Interni
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Giancarlo Cosio (nella foto a lato) è stato più volte medaglia d’oro per lo slalom nello sci nautico ai campionati italiani (2006) europei (2004) e a quelli mondiali per disabili (2005 e 2007): un uomo dei record che è anche il volto di una malattia dimenticata. Cosio è una delle vittime del talidomide, un farmaco somministrato alle donne incinte tra il 1957 e il ’61-’62. Serviva a calmare le nausee durante la gravidanza, solo dopo il mondo scoprì che aveva dei terribili effetti collaterali sui feti, a cui bloccava lo sviluppo degli arti.
Cosio non ha le due braccia e la gamba destra: solo la sinistra si è sviluppata normalmente. Di talidomide si poteva anche morire e, secondo le stime fatte sui giornali dell’epoca, in Italia circa 600 furono le vittime, prima che da noi, come nel resto del mondo, il farmaco fosse tolto dal commercio: solo 50 anni dopo questi fatti, lo scorso 1 settembre, la casa farmaceutica tedesca che lo produceva, la Gruenenthal, ha chiesto pubblicamente scusa per la tragedia.

RISARCIMENTI. «Siamo molto dispiaciuti – ha detto l’amministratore delegato dell’azienda –. Chiediamo perdono che per quasi 50 anni non siamo riusciti a trovare il modo di comunicare con voi da essere umano a essere umano». Una laconica dichiarazione che non potrebbe mai risarcire né le migliaia di madri, né i loro figli che di quel farmaco furono ingenue vittime perché mai alcuna sperimentazione era stata fatta prima del commercio su animali in stato di gravidanza.
Nel mondo oltre diecimila bambini sono nati ciechi, sordi, o con malformazioni agli arti come Cosio, ma per 50 anni su di loro è calato il silenzio per evitare che chiedessero risarcimenti economici alla Gruenenthal: in Italia non è nemmeno mai stato fatto un censimento delle vittime di questo farmaco. Secondo Vincenzo Tomasso, presidente dell’associazione thalidomici italiani, «le vittime ancora in vita sono 300. In tutto saranno state 600, ma molti sono morti dopo pochi mesi, proprio a causa del talidomide. Solo negli ultimi anni siamo riusciti a vederci riconosciuto un indennizzo da parte dello Stato, visto che le aziende italiane a cui era stato venduto il brevetto sono fallite o scomparse».

MAMME CAVIA. Proprio in seguito allo scandalo talidomide, negli anni ’60 dalla Germania e poi in tutto il mondo (il farmaco era venduto in 40 paesi) furono introdotte le prime regole e soprattutto la farmacovigilanza, per impedire nuovi rischi di effetti collaterali gravissimi. «Furono le donne incinta a fare da cavia» ha ricordato qualche giorno fa il senatore Carlo Giovanardi (Pdl), in seguito alle scuse della Gruenenthal: «Se la sperimentazione fosse stata fatta sugli animali si sarebbero evitate drammatiche conseguenze per migliaia di persone. È un terribile esempio da tenere bene in mente nel momento in cui alcune associazioni hanno lanciato una campagna per abrogare l’obbligo delle sperimentazioni scientifiche sugli animali prima di mettere in commercio i farmaci».
Il riferimento è alle polemiche divampate sul recepimento della norma comunitara 14 del 2011, che pone nuovi paletti alla sperimentazione dei farmaci sugli animali (da sostituire con sperimentazioni alternative), e che il ministro della Salute Renato Balduzzi ha commentato positivamente. Su questi paletti alla sperimentazione sugli animali il dibattito politico ha visto un fronte bipartisan compatto nell’esprimere contrarietà. La posizione di Giovanardi, ad esempio, è condivisa anche dal senatore del Pd Ignazio Marino e dalla presidente della commissione Politiche europee del Senato, Rossana Boldi (Lega), che ha stigmatizzato il tentativo di «instillare nei media una superficiale e inconsistente distinzione tra coloro che amano gli animali e coloro che, invece, caldeggiano la vivisezione. In realtà, la divisione andrebbe fatta tra chi intende incentivare la ricerca scientifica mirante all’accrescimento del benessere umano e chi, invece, demagogicamente, va a solleticare le emozioni più epidermiche del cittadino medio, il quale viene, in tal modo, informato in maniera scorretta circa la reale portata della sperimentazione animale».
Tanto Giovanardi che Marino hanno sottolineato con forza che la normativa europea vieta di commercializzare qualsiasi farmaco che non sia testato secondo rigidissimi protocolli. L’eventuale ingresso della nuova legge sulle sperimentazioni animali comporterebbe semplicemente il fatto che le case farmaceutiche italiane delocalizzerebbero le sperimentazioni e la produzione di farmaco, e il paradosso dell’importazione nel nostro Paese di farmaci testati comunque su animali, ma in paesi dove i controlli sanitari sono al di sotto dei requisiti minimi.

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GLI ANIMALISTI. Intanto sul caso talidomide si è contrapposta polemicamente a Giovanardi la Lega anti-vivisezione che ha dichiarato, attraverso la dottoressa Michela Kuan, che «Giovanardi persevera nel sostenere assurdità scientifiche legate al modello animale e si avventura in affermazioni false e infondate». Riguardo alle mamme che furono involontarie “cavie” del farmaco, Kuan sostiene invece che «i test eseguiti dai ricercatori (all’epoca, ndr) cercano negli animali la prova di ciò che era già noto nell’uomo, ma nessuna delle specie trattate in laboratorio con il talidomide produsse feti focomelici. Il risultato fu solo un massacro di moltissimi animali».

I TEST TARDIVI. Una replica autorevole a Kuan è arrivata da Silvio Garattini, direttore dell’istituto di ricerche farmacologiche dell’istituto Mario Negri di Milano, che ha smentito la dottoressa citando la letteratura scientifica relativa al caso taladomide (sette diversi studi, uno apparso anche su Lancet): «Prima di accusare Giovanardi di falsità, Kuan dovrebbe leggersi la letteratura scientifica. Con dosi appropriate e a tempi appropriati durante la gravidanza, la talidomide ha indotto malformazioni nella scimmia, nel coniglio, negli embrioni di pollo, nel ratto ma solo per via endovenosa, nel topo e nel marmoset. Purtroppo questi sono risultati ottenuti in tempi successivi ala tragedia della talidomide perché all’epoca non era richiesto che i nuovi farmaci fossero studiati sulla riproduzione animale, mentre oggi è obbligatorio».
Il talidomide venne messo in commercio nel ’57, dopo che nel ’56 erano stati effettuati test (con risultati buoni) su animali non gravidi: solo nel 1960 vennero eseguiti i primi test su animali gravidi, ancora con effetti negativi però (ma secondo lo stesso autore della sperimentazione era stata condotta con quantità troppo basse del farmaco). Nel 1961 un nuovo studio rivelò i primi casi di malformazioni sui bambini, iniziati già nel 1957 e sino allora sottaciuti, che portarono al ritiro del farmaco: nel ’62 venne dunque eseguito un nuovo test su animali da laboratorio gravidi, questa volta con quantità di farmaco proporzionate, e stavolta si notarono come effetti le malformazioni sui feti.

Tags: carlo giovanardifarmaciGreen HillIgnazio MarinoMichela Kuansperimentazioni clinichetalidomide
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