La preghiera del mattino
Il “caso Corte dei conti” per capire il senso dell’isterismo anti Meloni
Sugli Stati Generali Jacopo Tondelli scrive: «Dopo essere intervenuti per prorogare uno scudo penale già istituito da Conte e confermato da Draghi, Meloni e Fitto hanno introdotto una modifica legislativa che nega alla Corte dei conti il “controllo concomitante e preventivo” sugli atti di spesa rilevanti per il Pnrr. L’opposizione si è subito scagliata contro la norma, che ha suscitato anche la reazione di Bruxelles che ha mandato una blanda – e invero invisibile – nota critica. La quale è però diventata molto visibile grazie alla lunga e puntuta risposta del governo, che ha reso evidente una critica della quale nessuno – né l’opinione pubblica né la maggioranza degli addetti ai lavori – avrebbe avuto coscienza. Perché? C’è, evidentemente, parecchio nervosismo, dalle parti di Palazzo Chigi. Meloni è sicuramente prudente e diffidente, per natura e per ambizione».
Per capire il senso del diffuso isterismo anti Meloni, non è inutile rievocare una delle tante campagne appassionatamente “urlate” per qualche giorno e poi finite nel nulla. Vi ricordate come è nata la querelle sul “controllo concomitante” della Corte dei conti sull’attuazione del Pnrr? Da una parte il governo aveva deciso provvedimenti sia per aiutare a gestire l’emergenza sia per riportare a un (supposto) più corretto rapporto tra soggetto “democratico” decidente e istituzione “neutra” vigilante (peraltro l’invenzione del “controllo concomitante” era stata del ministro berlusconiano Renato Brunetta nel 2008). Dall’altra i vertici della Corte dei conti erano convinti che un’emergenza post Covid (nonostante guerra in Ucraina, necessità di far funzionare rapidamente il Pnrr e problemi strategici di approvigionamento energetico) non fosse più così impellente, e avevano chiesto di discutere invece sulla strategia necessaria per svolgere il loro compito di vigilanza.
Il solito “tavolo” si occuperà di questo secondo aspetto. Mentre sulla questione dell’”urgenza” i vertici della Corte dei conti hanno dovuto scontare la critica di numerosi giuristi qualificati e spesso con orientamenti di sinistra.
Resta il problema posto da Tondelli: perché tanto nervosismo da parte di Palazzo Chigi? Un po’ lo spiega Matteo Renzi: accusando il governo italiano di autoritarismo lo si indebolisce a Bruxelles. E se uno si ricorda i sorrisini Sarkozy&Merkel prima dell’attacco napolitaniano al governo Berlusconi qualche motivo di preoccupazione gli (le?) poteva venire.
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Su Fanpage Annalisa Girardi scrive: «Gentiloni ha detto che l’Ue non ha intenzione di commentare la decisione di Palazzo Chigi di eliminare il controllo concomitante dei giudici contabili. Da parte sua si è limitato a sottolineare: “Per la Commissione europea accelerare e stare nei tempi è fondamentale, al tempo stesso è fondamentale il controllo sul modo in cui gli investimenti vengono svolti e la spesa si sviluppa. I controlli sulla legittimità, sulle frodi, sui rischi di infiltrazione nella spesa pubblica vengono affidati ai singoli paesi. Questo è stato concordato fin dall’inizio anche con le autorità italiane e questo sarà. Non si può chiedere a Bruxelles di sostituire la magistrature e le autorità di controllo dei diversi paesi nell’individuare rischi di frodi o uso sbagliato delle risorse”».
Paolo Gentiloni con molto buon senso ha poi spiegato come la Commissione europea non partecipa al festival dell’isterismo antimeloniano. Non siamo più nel 2008.
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Sul Sussidiario Carmine Massimo Balsamo scrive: «La decisione del governo è stata contestata dall’opposizione, ma approvata da Sabino Cassese. Intervenuto al Festival dell’Economia di Torino, il presidente emerito della Consulta ha spiegato: “Ha fatto benissimo il governo a limitare il controllo preventivo della Corte dei conti. Ci sono aspetti di merito sui controlli e di metodo sul modo in cui si è svolta questa vicenda che danno completamente ragione al governo e dimostrano che bisognerebbe che le grandi corporazioni dello Stato ripensassero al modo in cui agiscono nei confronti dello Stato di cui sono i rappresentanti”».
L’emerito presidente della Corte costituzionale si è preso la sua bella dose di manganellate mediatiche (l’ottantasettenne giurista sarebbe, secondo alcuni squadristi sedicenti giornalisti, alla caccia di posti) perché, sostenendo le tesi che qui velocemente abbiamo riportato, si è sottratto al linciaggio di Giorgia Meloni.
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Su Strisciarossa Joseph Stiglitz scrive: «Negli Usa Trump e i repubblicani sono molto trasparenti nei loro intenti di soppressione degli strumenti democratici. In Italia la situazione è all’opposto. Si agisce in modo più sottile, il timore è che ci si possa arrivare un passo dopo l’altro, una strategia opposta a quella dell’”insurrezione” dei seguaci di Trump. La democrazia si può perdere all’improvviso, oppure a poco a poco, e la domanda è se è proprio quello che sta succedendo in Italia».
Stiglitz è economista premio Nobel di grande qualità, appassionato uomo di sinistra, ma è stato anche mediocre protagonista di quella importante istituzione sovranazionale che è la Word bank. In parte il suo insuccesso come capo economista della Banca mondiale deriva da un’astrattezza della sua visione dei problemi di governance globale e delle democrazie, con la sostanziale convinzione che un ordine westafaliano basato su Stati nazionali sia obsoleto, che siano ormai i tempi per imporre un diritto universale che superi la politica. Secondo questa concezione i “poteri neutri” non sarebbero più il limite che “scienza” e “difesa giuridica delle libertà costituzionali” pongono alla politica anche quella democratica, ma sarebbero i motori delle scelte fondamentali a cui la politica dovrebbe semplicemente accodarsi.
Questa impostazione nelle democrazie politiche nazionali ha portato in tanti casi i ceti popolari a rompere con una sinistra che sottraeva loro un essenziale strumento di difesa basato sul voto, e in campo internazionale a una centralità dell’azione di uno Stato come quello cinese nel quale i propri “poteri neutri” obbediscono alla polizia e al partito. Proprio errori di valutazione di questo tipo sul rapporto tra “poteri neutri” e democrazia politica lungo gli anni Novanta hanno fatto in Italia riflettere numerosi giuristi di sinistra sulla nostra particolare situazione nazionale e portano oggi, per esempio, giuristi come Cesare Mirabelli o Luciano Violante a sostenere le tesi di Cassese.
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