«Carneade! Chi era costui?»: così, con una simile concisa formula interrogativa divenuta un “marchio” della letteratura, Manzoni, tramite il suo grigio personaggio di don Abbondio, celebra il filosofo scettico del II secolo a.C. come in una sorta di contrappasso: la storia non sarà tenuta a conoscere chi non ritiene di dover conoscere la verità.
Carneade, infatti, era uno scettico, cioè un pensatore che seguiva l’idea di Gorgia da Lentini secondo il quale la verità non esiste, se esiste non è conoscibile, se è conoscibile non è comunicabile.
Come ricorda lo storico Eusebio di Cesarea, inoltre, Carneade era rinomato poiché riusciva a sostenere sia una prospettiva sia quella opposta, in omaggio alla migliore scuola del pensiero relativista che sfocia poi in quello nichilista: «Praticava le argomentazioni in un senso e nell’altro e sovvertiva tutte le altrui affermazioni».
Qualcosa di analogo accade oggi nell’agone culturale e antropologico che si sta consumando intorno all’ideologia gender, proprio a causa degli stessi sostenitori di una tale ideologia che affermano tutto e tutto il contrario.
I casi esaminabili sarebbero molteplici, ma se ne possono individuare almeno tre principali.
In primo luogo: l’esistenza o meno dell’ideologia gender. Da parte dei sostenitori del gender si continua ad affermare che l’ideologia gender non esiste, ma che semmai esistono solo gli studi di genere.
Si dimentica, tuttavia, che anche gli studi genere possono essere fondati da una visione ideologica, così come nei primi anni ’20 e ’30 del XX secolo gli studi sulla razza erano portati avanti da una precipua visione ideologica dell’uomo e dell’esistenza.
I sostenitori del gender, inoltre, se da un lato professano la inesistenza dell’ideologia gender, dall’altro, invece, propagano proprio quel tipo di pensiero che non può essere definito in altro modo che ideologico, poiché tenta di cancellare la differenza sessuale della dicotomia maschile-femminile con il dato psico-socio-culturale del genere.
Nota in merito, lucidamente, il filosofo marxista, dunque laicissimo, Diego Fusaro: «Ogni ideologia – Marx docet – si regge esattamente sul tentativo di negare il proprio carattere ideologico: ossia sul tentativo di mostrare la propria “naturalezza” […]. L’odierno monoteismo del mercato sta invece riuscendo, per ironia della storia, a realizzare la società senza sessi: la società asociale degli atomi unisex interscambiabili, dotati di una sola identità, quella del consumo. Se Marx invitava alla rivoluzione orientata alla riappropriazione dei mezzi di produzione, oggi siamo giunti al paradosso di dover lottare per la riappropriazione dei mezzi di riproduzione!».
In secondo luogo: i sostenitori dell’ideologia gender da un lato propugnano il valore della differenza, la differenza dall’eterosessualità, la differenza dalle norme imposte dalla natura, la differenza dai ruoli imposti dalla cultura e dal periodo storico, dall’altro però si avvalgono di un pensiero che è teso all’indifferenza.
Negando, infatti, rilevanza normativa e strutturale alla dicotomia naturale della sessuazione maschile-femminile, cioè alla differenza unica e per eccellenza, i sostenitori dell’ideologia gender diffondono l’idea dell’indifferentismo assoluto, come del resto spiega bene una delle principali teorizzatrici del pensiero gender, cioè Judith Butler: «Il genere stesso diventa un artificio fluttuante, con la conseguenza che termini come uomo o mascolinità possono significare con la stessa facilità un corpo di sesso sia femminile sia maschile, e termini come donna e femminilità un corpo di sesso sia maschile sia femminile».
In terzo luogo: altra tipica contraddizione dell’ideologia gender è insita nell’uso del principio di uguaglianza da parte dei suoi sostenitori.
I sostenitori dell’ideologia gender, infatti, professano un egualitarismo assoluto, da un lato negando le diversità tra maschile e femminile, e dall’altro affermando che tutto ciò che non è eterosessuale (non è ormai in gioco solo l’omosessualità, che anzi diventa sicuramente marginale nell’economia del pensiero genderista) deve essere equiparato, perfino per legge, a ciò che è eterosessuale: dignità della relazione amorosa, rapporto di coniugio, diritto alla vita familiare, filiazione, diritti successori ecc.
Come tutti coloro che prospettano secondo una tale declinazione il principio di uguaglianza, i sostenitori dell’ideologia gender dimostrano la loro poca dimestichezza con le categorie del pensiero.
Il principio di uguaglianza, infatti, non è un monolite solido e autoreferenziale, ma qualcosa di più. Il principio di uguaglianza è una manifestazione del principio di giustizia, e per essere giusti, come si sa dall’alba dei tempi, occorre dare a ciascuno il suo.
In quest’ottica, che i sostenitori del pensiero gender ignorano per la rozzezza dei propri strumentari filosofici, dare a ciascuno il suo significa che il principio di uguaglianza si viene a delineare come fondato su altri tre principi: quello di identità (devo restituire la stessa automobile che mi è stata prestata dal mio amico, rendendogli ciò che gli è dovuto); quello di equivalenza (devo restituire al mio amico la somma di danaro che mi ha prestato, ma non le medesime banconote, bensì il loro valore equivalente, rendendogli ciò che gli è dovuto); quello di proporzionalità (tutti i malati devono essere curati, ma non tutti allo stesso modo, bensì ciascuno con una terapia diversa in ragione della propria patologia, rendendo loro ciò che gli è dovuto).
Ebbene, su tale articolata premessa, si può affermare che il principio di uguaglianza richiede di trattare allo stesso modo casi uguali, ma in modo differente casi differenti, come si sa perfettamente sia nel mondo degli studi filosofici che in quello degli studi giuridici (la Corte Costituzionale ha più volte riaffermato questa banale verità).
Ecco allora che non si può reclamare l’egualitarismo assoluto tra l’unione eterosessuale e gli altri tipi di unione ai quali si potranno pur riconoscere delle tutele giuridiche di varia natura (sebbene si debba valutare con molta accuratezza e prudenza giuridica di volta in volta), ma sicuramente non le identiche tutele che si riconoscono all’unione tra uomo e donna.
Del resto, la stessa Corte Costituzionale che più volte ha sollecitato il legislatore in questo senso, ha anche costantemente riconosciuto l’impossibilità di un egualitarismo assoluto; come, per esempio tra i tanti, tramite l’ordinanza n. 4/2011 in cui sancisce: «Le unioni omosessuali non possono essere ritenute omogenee al matrimonio».
Insomma, i sostenitori dell’ideologia gender, per un verso richiedono l’esaltazione della diversità dall’eterosessualità, ma per altro verso richiedono l’equiparazione esatta di questa diversità all’eterosessualità stessa in nome di un egualitarismo assoluto.
Si palesano così alcune delle principali contraddizioni logiche e concettuali strutturali dell’ideologia gender e di cui cadono ingenuamente preda tutti i sostenitori di una simile impalcatura ideologica, cominciando proprio da coloro che la sostengono dubitando che esista, come Don Abbondio con Carneade e come quest’ultimo con la verità.
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