Identity politics, il vero oppio dei popoli

Perché la celebre critica di Marx al cristianesimo coglie perfettamente il problema della nuova religione civile degli Stati Uniti: la politica dell'identità

Per gentile concessione di First Things, proponiamo di seguito in una nostra traduzione un articolo di Carl R. Trueman, professore di Studi biblici e religiosi e senior fellow all’Institute for Faith and Freedom del Grove City College in Pennsylvania, apparso giovedì 29 aprile nel sito della rivista americana (qui l’originale in inglese).

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La politica dell’identità [identity politics, ndt] è la nuova religione degli Stati Uniti. Qualcuno dissentirà da questa affermazione. Ci sono quelli che semplicemente si rifiutano di vedere quanto sia radicata oggi la settarietà della pubblica piazza. E ci sono quanti hanno un interesse personale nel minimizzare la religiosità di quella che comunemente chiamiamo “wokeness”. Ma nella sua pretesa di totale osservanza, nei suoi rituali e liturgie e nella sua infallibile capacità di fiutare l’eresia, essa non assomiglia ad altro che a un culto religioso. E questo, ironicamente, è l’aspetto in cui l’uomo che molti considerano essere il padre di questa festa, Karl Marx, può rivelarsi utile a quanti di noi si chiedono come rispondere.

Fra tutti i detti di Marx, il meglio conosciuto è sicuramente quello secondo cui la religione «è l’oppio dei popoli». Tuttavia, chiunque abbia letto Marx sa che egli non ragionava per frasi a effetto. La stupidità di Twitter, con la sua economia di caratteri, il disprezzo del contesto e la superficialità del contenuto, non sarebbe stata adatta alle sue disquisizioni hegeliane sul mondo. Non fa eccezione questo aforisma sull’oppio; e inserito nel suo contesto, cioè nell’introduzione a Per la critica della filosofia del diritto di Hegel, il suo significato si arricchisce e il suo contenuto diviene un aiuto a meditare sull’attuale religione civile degli Stati Uniti.

Riportato nella sua interezza, il paragrafo recita come segue:

«La miseria religiosa è insieme l’espressione della miseria reale e la protesta contro la miseria reale. La religione è il sospiro della creatura oppressa, l’anima di un mondo senza cuore, così come è lo spirito di una condizione senza spirito. Essa è l’oppio del popolo».

È chiaro qui che Marx ha un approccio alla religione in un certo senso più sottile rispetto a quello che gli è spesso attribuito. Nella sua visione, la religione può essere falsa, ma è funzione di qualcosa di reale. Le persone religiose ripongono forse la loro fede in una cosa insensata, ma lo fanno perché stanno soffrendo veramente. Possiamo dire che, pur non nutrendo Marx alcuna simpatia verso la religione, egli prova profonda simpatia verso la povera gente che ci crede.

Questo brano mi colpisce perché aiuta a capire l’odierna politica dell’identità. La tentazione per entrambi i fronti della frattura politica è di rigettare la identity politics della controparte in quanto istanza speciosa ed egoista basata su questioni irrilevanti: l’utilizzo accidentale della parola sbagliata; il capriccio di qualcuno che non sa cavarsela da solo; un gioco di potere da bulli ideologici. E in questo c’è di certo molta verità. Come ho scritto nel mio ultimo commento, idee come la critical race theory hanno offerto facili opportunità di carriera a populisti come a professori. Ma dovremmo guardarci dal ridurre la politica dell’identità nel suo complesso all’arrivismo rancoroso di quanti cercano solo una svolta sulla ribalta. È sicuramente molto di più. Per molti è l’espressione della miseria reale e la protesta contro la miseria reale.

Alla luce di questo, è importante che i critici della politica dell’identità prendano nota di due cose. Primo, dobbiamo considerare seriamente le condizioni che hanno dato luogo a questo spiacevole fenomeno. La cosa che lega assieme tutti i gruppi identitari è l’esperienza umana di desiderare di appartenere, senza tuttavia trovare un posto nella società contemporanea. La famiglia è un disastro. Le istituzioni religiose hanno perso autorevolezza. Lo stato nazionale non è più fonte di unità ma teatro di conflitti, dove combattiamo fra noi per stabilire cosa sia e cosa non sia l’America. Eppure il bisogno primario di appartenenza dell’uomo persiste, un bisogno che oggi viene soddisfatto dalle nuove comunità identitarie – le quali, mi verrebbe da dire, sono instabili e spesso illusorie. La politica dell’identità è in parte una risposta a questo tragico stato di cose. I cristiani devono prendere sul serio questa mancanza di connessioni e opporre alle forme chimeriche di appartenenza la vera comunità della Chiesa.

In secondo luogo, è notevole che Marx consideri la critica della religione fondamentale per fare sì che le persone affrontino la realtà delle proprie vite. Analogamente dovremmo considerare la critica della identity politics come centrale per il nostro compito nell’epoca attuale. Per quanto carica di retorica appassionata, la politica dell’identità è attestazione della disconnessione sociale che scaturisce dal vuoto metafisico al cuore della moderna società occidentale. Vogliamo qualcosa di più grande di noi con cui impegnarci, sebbene le vecchie forme di appartenenza ci appaiano perdute. Incapaci perfino di concordare su cosa sia l’umanità e dunque su cosa ci tenga insieme, ci frammentiamo in ghetti identitari artificiali e ingaggiamo infinite guerre di potere per conquistare il centro del palcoscenico. Dunque, mostrare le vuote promesse della identity politics deve far parte della ricerca della vera libertà e appartenenza umana.

In conclusione, comunque, è utile notare un ultimo punto su cui la religione – quanto meno quella che Marx aveva messo nel mirino, il cristianesimo – e il nostro odierno culto della politica dell’identità differiscono. La identity politics, diversamente dal cristianesimo, non è l’anima di un mondo senza cuore. Niente di più lontano. Il cristianesimo condanna il peccato ed esige pentimento; ma sono la grazia e il perdono il suo cuore. La voce stridula della identity politics chiede con forza il pentimento, ma presuppone che nessun vero atto di contrizione sarà mai sufficiente. Non offre grazia né perdono. Questo perché il vero nome del gioco è la vittoria totale, non la riconciliazione.

Perfino Marx riconosceva nel cristianesimo l’anima di un mondo senza cuore. Io sono incline a pensare, con il montare della retorica dell’identità, che l’identitarismo non rappresenti l’anima del nostro mondo senza cuore, ma piuttosto la stessa implacabile mancanza di cuore del mondo spinta fino alla sua spietata e distruttiva conclusione pratica.

Foto Ansa

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