Commedia dolceamara colorata e vivace, con buoni interpreti. La firma il napoletano Ivan Cotroneo, sceneggiatore di parecchi film italiani da Mine vaganti di Ozpetek, ad alcuni film di registi italiani come Guadagnino (Io sono l’amore) e Pappi Corsicato (Chimera), oltre che autore del format televisivo Tutti pazzi per amore. Lo stile visivo e il tratteggio dei caratteri rimanda proprio al regista italo-turco e alla sua capacità di rimanere in equilibrio tra registro comico e drammatico. Il film ha molti meriti: la buona confezione d’insieme, con una calda rievocazione, solo qua e là forzata, degli anni 70 e un’attenzione ai dettagli notevole: dai vestiti splendidi della Capotondi alla scenografia degli interni, assai curata (c’è persino lo scotch con cui Peppino si aggiusta alla buona gli occhiali fatti a pezzi dal compagno bullo).
Ci sono ottimi attori, tutti molto bravi e ben diretti, dalle coppie Zingaretti/Golino e De Rienzo/Capotondi al ragazzino protagonista, ai tanti, spesso divertenti, comprimari. Si registra una buona tenuta di una vicenda dal sapore autobiografico, raccontata ora con piglio grottesco, ora con nostalgia, ora con sincera partecipazione emotiva. Non tutto è a fuoco: il racconto di questa famiglia disfunzionale non è sempre omogeneo. Si privilegia spesso il bozzetto a discapito di un certo approfondimento: in alcuni casi i flash regalano affondi inaspettati e anche momenti lirici come il bell’incontro tra la zia zitella del protagonista e un uomo timido, goffo ma anche deciso a prendersi cura di quella donna un po’ sfiorita dall’attesa di un uomo che pareva un sogno; in altri casi, come nel rapporto tra lo psichiatra interpretato da Fabrizio Gifuni e la Golino o la vita scolastica di Peppino (anche se la maestra è umoristicamente ben tratteggiata) la storia è una semplice parentesi poco incisiva.
In generale il film tende sempre a scivolare nel cliché e nel prevedibile, a volte nel folkloristico (De Rienzo e la Capotondi, per quanto molto in gamba e fasciati in vestiti fantastici appaiono un po’ piatti; il racconto della “liberazione sessuale degli anni 70 appare assai schematico), ma quando non lo fa regala dei bei momenti, anche inaspettati: la chiusura della loro vicenda personale della Capotondi e di De Rienzo, la conclusione della storia tra Zingaretti e Golino; i vecchi della famiglia, che paiono spesso essere gli unici a ragionare secondo logica. E non è male, anche se un po’ troppo invadente e schematico, il personaggio bizzarro e straniante del Superman del Napoletano, un cugino del protagonista, metafora sin troppo evidente di un’identità sessuale da riconoscere e accettare e anche mentore e aiuto reale per il ragazzino per una storia sul diventare grandi che mette dentro fatiche, difetti e un po’ di disincanto – la kryptonite del titolo – ma anche la speranza di ripartire.