Il mio lavoro (psicoanalista) è quello di Avvocato dell’ospite, o oste, o abitante, quello che poi, se non è rispettato e onorato, farà come l’oste che presenta il conto, spesso molto salato, da lacrime amare. Ricordo un bambino di quattro anni che, decollato nella vita, e preso a parlare bene, iniziò a precipitare nell’afasia con un preciso atto di sottrazione al padre della patria potestà: smise di chiamarlo “papà”. Si trattò di una sanzione verso un padre non rispettoso né onorante il figlio (e neppure la sua donna, che lo ricambiava della stessa moneta). Per un momento la funzione di Tribunale – un Tribunale dei maggiori – è stata assunta dall’ospite, il minore. Che competenza! Benché poi al bambino sia mancata la capacità di reggerla nel tempo, donde l’ammalarsi. Il quarto comandamento dice di onorare il padre e la madre, ma implica una severa ironia: esso consiglia di farlo verso un padre e una madre che hanno disonorato, o almeno non onorato, il figlio-ospite, il quale allora passerà alla sanzione (ciò è ancora normale), però poi potrà scivolare nella vendetta quanto a loro e nella malattia quanto a se stesso. Dunque il comandamento dice: onorali ugualmente, anzitutto per riguardo a te stesso, per non finire male, malato.
Reg. del Trib. di Milano n. 332 dell’11/6/1994
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