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I 50 angeli custodi di Giovannino

Ci dona speranza e fiducia nell’umanità vedere che c’è ancora chi si prodiga per accogliere l’«imperfetto» che per alcuni è solo «materiale di scarto»

Claudio Larocca
02/12/2019 - 12:53
Interni
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neonati ospedale

Ha colpito tutti il caso di Giovannino, bimbo nato ad agosto e abbandonato alla nascita presso l’ospedale Sant’Anna di Torino perché affetto da Ittiosi Arlecchino, una disfunzione della pelle che colpisce un neonato su un milione e che causa grosse squame quadrangolari, insieme a forte disidratazione con conseguenti problemi di respirazione, serie difficoltà di movimento e infezioni spesso letali. Una patologia che, una volta superata la fase acuta post-natale, può consentire un’aspettativa di vita normale e Giovannino questa prima fase pare averla superata alla grande.

Questa notizia ha generato reazioni opposte. Da una parte il solito “dottor morte” (non merita citazione), che a Torino conosciamo molto bene, testimonial di aborto ed eutanasia che non perde occasione per esplicitare un’intima avversione alla vita, raccontando tra le altre cose di aver frullato nascituri e, questa volta, augurandosi la morte del piccolo e sostenendo che, al posto dei genitori di Giovannino, lo avremmo abbandonato anche noi.

Tali dichiarazioni, che gli sono costate una contestazione disciplinare da parte dello stesso ospedale Sant’Anna per cui lavora, dimostrano che Giovannino sopravvivendo ha rovinato i piani di qualcuno. Per fortuna però la reazione più incisiva arriva da una comunità che si è messa in moto a vari livelli per offrire aiuto e assistenza. Dall’ospedale parlano di numerose telefonate di comuni cittadini che desiderano candidarsi per adozione e affidamento, o che semplicemente offrono aiuti di ogni tipo.

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La città di Torino ha aperto un conto corrente “Solidarietà” per raccogliere donazioni1 e la Piccola Casa della Divina Provvidenza di Torino (Cottolengo) ha offerto da subito ospitalità per il post dimissioni dall’ospedale, con una stupenda lettera aperta, indirizzata dal padre generale don Carmine Arice direttamente al piccolo Giovannino: «Caro Giovannino, quando questa mattina abbiamo letto la tua storia, così breve ma già così importante, ci è venuto subito nel cuore il desiderio di accoglierti tra noi. Sai, don Giuseppe Cottolengo ha voluto una casa proprio per quanti fanno fatica a trovarne una perché la loro situazione di vita o di salute era particolarmente difficile. E così vogliamo continuare a fare anche noi. Anche per te, caro Giovannino, vorremmo pensare un’accoglienza degna del valore infinito della tua esistenza, con tutto ciò che sarà necessario e nelle modalità che richiede una situazione così particolare come la tua: insomma una casa con persone che ti vogliono bene e si prendono cura di te fino a quando sarà necessario. Se poi ci sarà una famiglia, con un papà e una mamma che vorranno essere tuoi genitori, saremo contenti di affidarti a loro».

Don Arice ci commuove e soprattutto ci indirizza a una corretta lettura dei fatti perché c’è il rischio di una spinta emotiva generata più dalla costernazione per l’abbandono che non dal profondo riconoscimento che ogni vita ha identico valore ed è dono con dignità piena sin dal primo istante dell’esistenza, dal concepimento, anche se affetta da gravi patologie.

Per questo motivo la scelta di questi genitori è certamente biasimevole, ma condannarli è troppo crudele. Quanto meno, gli hanno permesso di nascere e di generare questo vortice di amore per il prossimo fragile e la profonda relazione con il personale sanitario che da subito lo ha accolto con amore e competenza.

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«Questa solidarietà è emozionante – ha dichiarato il dottor Daniele Farina (direttore della Neonatologia dell’ospedale Sant’Anna di Torino) – È un bimbo sveglio, gli piace essere portato in giro, ama sentire la musica ed è un po’ il figlio di tutto il reparto: ha 40 mamme e 10 papà». «È contento quando qualcuno gli fa ascoltare la musica. Il più mammone del reparto». «All’inizio, proprio a causa della rigidità cutanea, aveva difficoltà a muovere la bocca per mangiare, adesso Giovannino ha un appetito da lupi…. presto ci sarà da divertirsi perché si avvicina l’ora delle pappe».

«Non ha capelli, non ha ciglia, psicologicamente l’impatto estetico può essere molto forte. Ma dal punto di vista neurologico è un bambino perfettamente sano che può aspirare a una buona qualità di vita». «È stata un’esplosione di telefonate. Gli italiani sono un popolo di grande cuore. Io ho grande rispetto per chi deciderà di prendersene cura perché questo comporta un grosso impegno».

Da queste parole si comprende ancora di più quanto sia stato disumano augurargli la morte e quanto al contrario i “50 angeli”, infermieri e medici, siano stati un grande dono per Giovannino, come lui lo è stato per loro e per tutti noi, obbligandoci a guardare alla sua condizione, smuovendoci dal torpore di chi è arreso di fronte ai numerosi attentati alla vita innocente, un gigante nel suo piccolo corpicino e forte nella sua patologia, capace di un inconsapevole quanto dirompente grido che proviene dalla sua formidabile voglia di vivere.

A questo punto noi però dovremo essere capaci di andare oltre l’emotività di questi mesi e diventare capaci di riconoscere il valore pieno in ogni Giovannino che sin dal concepimento rischia di essere rifiutato e scartato da una cultura che sempre più considera la dignità della vita in proporzione alla qualità della stessa.

Proprio di dono parla infatti don Arice in un’intervista rilasciata dopo la lettera aperta: «È un dono innanzitutto per ciascuno di noi, perché dalla vita di Giovannino emerge una antropologia della fragilità. Questo bambino malato ci insegna che l’uomo non è onnipotente, non è eterno ma fragile. Giovannino ci insegna anche uno sguardo diverso su tutte le persone che va oltre le possibili funzionalità».

Ecco il nostro compito, cambiare il nostro sguardo perché possa cambiare quello di un mondo nel quale non è per nulla scontato che una vita, ancor più se nel grembo materno, venga accolta seppur malata. Ciò che più stranisce del caso in questione è che, pur passato dall’iter della fecondazione artificiale (eterologa o no poco importa), Giovannino sia sopravvissuto ai numerosi passaggi selettivi, utili a garantire il “figlio perfetto”.

Qualcuno a tal proposito ha fatto notare in questi giorni che la legge 40, stravolta a colpi di sentenze e che, ad esempio, in origine vietava proprio l’eterologa, all’articolo 9 conserva l’esclusione della possibilità di rifiutare il figlio disconoscendolo e partorendo in anonimato; facoltà sempre possibile invece per una gravidanza iniziata con concepimento naturale. Siamo certi però che questo divieto non venga di fatto eluso? In ogni caso Giovannino avrebbe potuto incontrare numerosi passaggi selettivi anche in una gravidanza naturale.

Tutta la gestazione è infatti ormai divenuta un periodo di verifica della “qualità del prodotto” e risulta sempre meno comprensibile e accettato che dei genitori scelgano di far nascere un figlio portatore di una qualche patologia. In questi casi, la diffusa compassione finta rende egoistica la scelta di vita e altruistica la scelta di morte; tutto è ingannevolmente ribaltato. Conosco personalmente genitori che hanno subito una forte pressione affinché scegliessero l’aborto volontario del figlio portatore di handicap e che si sentono ancora incolpati ogni giorno da commenti: “infondo l’alternativa ce l’avevate e se aveste scelto diversamente non avreste generato problemi successivi anche per i servizi che nel nostro paese è difficile ottenere”.

In fondo è anche una questione economica, il vecchio e il malato costano e sono improduttivi. Per questo motivo non dovremmo stupirci che si possa arrivare ad abbandonare il proprio figlio perché “imperfetto”. Questo già avviene legalmente nei nostri ospedali con l’aborto terapeutico che consente di sopprimere un feto fino alla 25ma settimana di gestazione, quando il nascituro, pienamente formato, riconosce perfettamente la voce della mamma e il suo suono lo tranquillizza.

Forse la vita di Giovannino in quella fase della gravidanza e sin da quella embrionale non aveva già il valore infinito che in molti ora le riconosciamo? Per questa ragione ho scritto che è stato fondamentale e per nulla scontato che i genitori gli abbiano consentito di nascere. Nei Centri di aiuto alla Vita conosciamo molto bene le paure e la disperazione che possono ostacolare l’accoglienza serena di un figlio. Purtroppo, così come riconosciamo la presenza di personale sanitario valido, capace e umano, come quello che ora assiste il nostro Giovannino, raccogliamo spesso anche testimonianze opposte e molto negative di medici o operatori di consultori che rasentano l’istigazione all’aborto.

Un mondo incapace di riconoscere il valore infinito di ogni esistenza non fa altro che acutizzare le paure e la solitudine, spesso causa principale di una scelta di aborto. Se nessuno può sostituirsi a una donna in crisi con “io, al posto tuo, farei…”; è chiaro quanto sia invece prezioso e determinante esserle prossimi, trovando con lei la via per il suo vero bene, che non sarà mai una via di morte. Dunque non è vero che siamo tutti quei genitori, mentre possiamo sostenere che siamo tutti Giovannino e lui è uno di noi.

Tutti noi nati potremo infatti incontrare verso la fine della vita un mondo incapace di riconoscere la nostra dignità celata dietro una malattia o dietro la vecchiaia. A quel punto ci potrà essere indicata la morte come unica soluzione perché nessuno sarà più pronto ad accoglierci nelle nostre debolezze, o addirittura convincerci che sia disumano lasciar vivere un malato in quanto tale. Purtroppo questa mentalità è già permeata in maniera diffusa e i recenti casi di Alfie e Charlie, uccisi persino contro la volontà dei genitori, lo dimostrano.

Ritroviamo allora il coraggio di chiederci: Perché accettiamo che vite umane vengano interrotte nel grembo materno, in una provetta o in un letto di ospedale perché malate? In tutto questo ci dona speranza e fiducia nell’umanità vedere che c’è ancora chi si prodiga per accogliere e assistere l’“imperfetto” che per alcuni è solo “materiale di scarto”. Consola constatare che ci sono persone capaci di riconoscere piena dignità e valore anche nel malato, anche in Giovannino, che non vale meno dei nostri figli, ma che come tutti, seppur con esigenze particolari, ha diritto di vivere, di essere riconosciuto e amato perché Giovannino è uno di noi e siamo tutti Giovannino.

1) Chi lo desidera potrà aiutarlo contribuendo esclusivamente con bonifico a favore del Comune di Torino, IBAN IT69L0200801033000104431330 con la causale “Per Giovannino” CLAUDIO LAROCCA, presidente di Federvi.PA – Federazione dei Movimenti per la Vita e dei Centri di Aiuto alla Vita, delle Case di Accoglienza, delle Associazioni locali aderenti al Movimento per la Vita Italiano operanti nelle Regioni Piemonte e Valle d’ Aosta.

Tags: giovanninotorino
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