Ho un dubbio diabolico: e se sulla giustizia avesse ragione quel sacerdote?

Di Berlicche
10 Gennaio 2020
La cronaca è piena di casi per cui è impossibile che ci sia una giustizia (vedi i pompieri rimasti uccisi a Quargneto). Eppure l'esigenza riemerge sempre
Il funerale dei tre vigili del fuoco morti nell'esplosione di una cascina a Quargneto, Alessandria

Articolo tratto dal numero di gennaio 2020 di Tempi. Questo contenuto è riservato agli abbonati: grazie al tuo abbonamento puoi scegliere se sfogliare la versione digitale del mensile o accedere online ai singoli contenuti del numero.

Mio caro Malacoda, c’è, inestirpabile e irrisolta, una questione giustizia. Non sto parlando della corruzione, delle retate mediatiche, dei processi, della prescrizione, delle carcerazioni ingiuste, dei colpevoli che sfuggono alla condanna… Non mi sfugge l’importanza di tutto ciò, ma mi rode dentro un dilemma: basta arrestare e condannare il colpevole, pur nella versione della pena rieducativa, per dire che giustizia è fatta? Oppure la giustizia è qualcosa che riguarda singolarmente ogni uomo, non nei tribunali, ma nella vita? Un’esigenza che si identifica con l’io. Insomma, è vero o no che non c’è giustizia – «tribuere unicuique suum» – finché a ognuno non sia riconosciuto ciò che è suo?

Se è così, penso che la giustizia sia impossibile.

Quargneto (Alessandria), 5 novembre 2019. Tre vigili del fuoco, Marco Treves, Matteo Gastaldo e Antonino Candido, muoiono nell’esplosione di un cascinale dove erano accorsi per domare un incendio. «Non volevo uccidere, volevo solo far saltare la casa per prendere i soldi dell’assicurazione», ha detto il proprietario dell’immobile.

Rosignano (Livorno), 18 dicembre 2019. Roberta Barrile, violinista, sta attraversando la strada sulle strisce pedonali. Una Fiat Panda bianca l’investe. L’autista scappa e la lascia a terra agonizzante. Roberta, cinquant’anni, lascia cinque figli. L’investitore viene arrestato il giorno dopo.

Capena (Roma), 23 febbraio 2019. Pasquale Persia, quattordici anni, muore schiacciato dal padre che cade dal tetto del capannone su cui era salito per verificare i danni provocati dal vento.

Mi fermo. Ma gli esempi, cioè i dolori irragionevoli per i quali è impossibile restituire a ciascuno il suo, annienterebbero nel loro elenco infinito il più incallito dei cinici. «Non basta un cuore per tutto quello che lo fa soffrire, ed è per questo che poi moriamo», scriveva Giuliana Ferrari Sborgi in una sua mai trovata poesia di cui ricordo questo verso citato da un amico. Le mogli dei tre pompieri, il marito e i figli della violinista, l’imprenditore di Capena non riavranno padre, marito, madre, figlio, pur se la “giustizia” – come si dice – farà il suo corso e condannerà i colpevoli. Anche se nel terzo caso chi è il colpevole? Che cosa graverà sul cuore di quell’uomo precipitato sul figlio?

Pensaci nipote, se la giustizia è impossibile, non esistono neanche colpevoli, e nemmeno innocenti. È tutto un inutile agitarsi. La nostra «povera intelligenza terrena, euclidea» – come dice Dostoevskij – si affanna per niente.

Però c’è un però. Se non esiste ragionamento che spieghi e dia senso alle ingiustizie citate, e alle tante altre taciute, non c’è neppure ragionamento che secchi la polla da cui l’esigenza di giustizia, per quanto inevasa, costantemente riemerge.

Prima di vendermi a Satana, in gioventù, ho frequentato un corso in cui un sacerdote, al proposito, poneva il caso, reale, di un inglese giustiziato per omicidio e rivelatosi poi innocente: «Senza la prospettiva dell’oltre – leggo dal mio vecchio quaderno di appunti – è impossibile la giustizia».

Ma anche questo – e quel prete lo sapeva bene – è un sillogismo. E nessuno darebbe la vita per una deduzione. Infatti, più avanti nel corso, raccontò di una donna che si presentò al confessionale dicendo «Padre, io bestemmio», e dopo sue generiche esortazioni rincarò la dose: «Io non posso non bestemmiare». «No, adesso esagera», rispose il prete. «Mi è morto il marito due anni fa. Avevo due figli. Uno è impazzito per la morte del padre e, impazzito, ha ucciso il fratello. Adesso è al manicomio giudiziario di Bologna. Così mi sono trovata improvvisamente sola». Silenzio. «Senta – osò il prete – adesso si alzi, si sieda lì davanti, guardi quel crocefisso: se ha da dire qualcosa, glielo dica». La donna rimase a lungo e poi disse: «Ha ragione».

Noi diavoli passiamo il tempo a insinuare dubbi nei pensieri della gente. Ma teorizzare il dubbio come metodo (cioè a farne una certezza) ti si ritorce contro. Quel prete mi si è infilato in testa, e mi ha fatto venire un dubbio: che sulla giustizia abbia ragione lui? Meglio non pensarci, avanti imperterriti.

Tuo affezionatissimo zio
Berlicche

Foto Ansa

Articoli correlati

0 commenti

Non ci sono ancora commenti.