«Cadono le bombe, pregate con noi». La “guerra in diretta” di Radio Maria Ucraina

Di Caterina Giojelli
04 Marzo 2022
Padre Aleksey ascolta e diffonde la voce dei cattolici in guerra e li aiuta a trovare sangue, cibo, medicine. E dai sotterranei alle frontiere, un intero popolo si stringe attorno alla sua voce
Guerra in Ucraina, un padre stringe il figlio venuto alla luce durante i bombardamenti di Kiev

Guerra in Ucraina, un padre stringe il figlio venuto alla luce durante i bombardamenti di Kiev

In superficie è vetro, fumo, cenere, ghiaccio, detriti, il rumore di qualche cingolato affaticato che ogni tanto profana il silenzio irreale di Kiev. Padre Aleksey Samsonov inizia prestissimo a trasmettere in diretta, c’è bisogno di sangue di un gruppo particolare per i soldati feriti, bisogna indicare alla gente dove reperire cibo e medicinali, quali negozi resistono eroicamente aperti, chiedere disponibilità di passaggi, vitto e alloggio nelle regioni attraversate dai profughi per arrivare ai confini.

Ma soprattutto padre Aleksey deve rispondere a chi chiama, ascoltare la sua voce e permettere che la recita del rosario riempia gli ignoti sentieri del sottosuolo dove migliaia di persone si stringono nel buio come bambini.

Il rosario, il biberon, le armi

Il sacerdote è sveglio dalle due, impossibile dormire quando le esplosioni squarciano il sonno e tanti implorano una coraggiosa presenza e compagnia. «Il segnale c’è – conferma a Tempi il direttore di Radio Maria Ucraina -, l’attacco missilistico che due giorni fa ha colpito la torre di Kiev ha silenziato trasmettitori e antenne di tv e radio private per soli venti minuti, poi le comunicazioni sono riprese in tutte le regioni». Padre Aleksey aveva tirato un sospiro di sollievo: la “sua” Radio Maria Ucraina poteva continuava a farsi sentire.

«Quando sei solo, nascosto, sentire una voce amica che esorta a non avere paura, sapere che i preti non abbandonano il popolo e rispondono a chi chiede aiuto; ricordarsi insomma che là fuori non ci sono solo le bombe che cadono e i kalashnikov che sparano, è ragione di sollievo e speranza». Sono oltre centomila le madri, i padri, gli anziani che recitano il rosario trasmesso dalla radio: si inginocchiano negli scantinati coi bambini al collo, lo recitano sul ciglio della strada, in coda in auto alla frontiera, nel centri di accoglienza allestiti nelle parrocchie delle regioni che accolgono il popolo in fuga, su polverosi materassi, imbracciando un biberon, qualcuno perfino un’arma.

Chiamare Radio Maria Ucraina sotto le bombe

«Per questo abbiamo aperto alle telefonate in diretta: queste persone hanno bisogno di raccontarsi. A volte chiamano per chiedere cose molto concrete, dove potersi procurare farmaci o noleggiare mezzi o trovare rifugio, ma più spesso chiamano solo per dire che ci sono, dire alla comunità cristiana dove si trovano e cosa sta succedendo. A volte chiamano da sotterranei pieni di sconosciuti o piccole cantine con pochi familiari solo per piangere e chiedere alla comunità di pregare con loro mentre sopra il riparo cadono le bombe».

Chiamano per parlare a un paese attraverso la radio, far giungere la propria voce a chi si trova al “sicuro” altrove, in fuga o in coda alla frontiera, solo per affidarsi a una compagnia e alle preghiere di un intero popolo mentre la comunicazione è rotta dal boato delle esplosioni.

La presa “in diretta” di Konotop

Padre Aleksey ricorda la notte sotto le bombe dei parrocchiani di Konotop, vicino al confine con la Russia. Ore di bombardamenti e spari finché la città non è caduta in mano ai soldati di Mosca: «C’erano 30-40 fedeli riuniti nel sotterraneo della chiesa, abbiamo pregato insieme a loro la corona della Divina Misericordia, collegati da tutto il paese. Abbiamo sentito i loro pianti e le loro preghiere e a queste ci siamo uniti fino alla presa di Konotop».

Ricorda anche la chiamata di quel ragazzo e padre da una città del nord, vicino ai confini con la Russia: «Ci disse che appena sentite le prime esplosioni era riuscito a trovare una macchina; aveva caricato moglie e figlioletti ed era fuggito dalla città. Ma appena trovato loro un posto sicuro, li aveva abbracciati e lasciati lì, aveva fatto retromarcia ed era tornato a difendere la sua città». Il giovane aveva chiamato Radio Maria Ucraina una volta fatto ritorno “a casa”, tra soldati e macerie, per raccontare la sua decisione, chiedere preghiere per sé e chi resta. «Sono in tanti ad aver deciso di restare. Un ragazzo che ci dava una mano aveva la possibilità di tornare in Italia, a un buon lavoro e un comodo alloggio appena è iniziata la guerra. Eppure non se ne è andato, è corso invece ad arruolarsi nell’esercito».

La battaglia di padre Aleksey per l’Ucraina

Radio Maria Ucraina ha ascoltato e diffuso la voce sofferente di tantissimi cattolici in guerra, in fuga (c’erano voluti quasi 4 giorni di macchina a un collaboratore di padre Aleksey per fare 10 chilometri di coda al confine con la Polonia e mettere in salvo moglie e bambino), gente che ancora non si capacita di aver lasciato sotto le bombe le proprie vite pacifiche e tranquille, che non si abitua alla paura.

«Ho paura anche io, per i miei amici, per i miei cari, e come sacerdote ho il compito di combattere per la libertà dell’uomo, del popolo e del mio paese, e difenderla, restando al mio posto: cioè qui, in mezzo alla gente. Senza far mancare loro, quando crolla tutto, la voce di Dio, il rosario, la catechesi, le parole del Vangelo, la preghiera. E anche la compagnia e la speranza: il Signore è con voi». Non è solo una formula per il popolo ucraino che si sintonizza per sentire la voce di padre Aleksey e affidare a quella Radio la propria storia, come in Chiesa, in famiglia, tra amici, per implorare, ben sapendo che non tutto è nelle mani di padri e soldati del paese, «preghiere e aiuto concreto. Putin non si fermerà all’Ucraina».

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