Lunedì, 22 luglio. Alle quattro del pomeriggio entro in una rivendita di elettrodomestici. I televisori gareggiano a chi spara l’immagine più nitida, rappresentando boschi, spiagge e perfino nevi (assai improbabili per il Brasile). Ce n’è qualcuno che, in diretta, mostra le immagini di un aereo Alitalia che sta atterrando. A bordo c’è il Papa. Allora mi siedo sulla poltroncina ad aspettare. Si ferma, stendono il tappeto rosso, Dilma Rousseff si muove e intorno a lei un nutrito seguito. Mi guardo attorno, sono il solo davanti a quelle prime immagini. Ecco il Papa con il suo camminare normalissimo al fianco della presidente del Brasile. E poi il viaggio dall’aeroporto alla cattedrale a bordo di un’utilitaria. E l’auto che rimane bloccata dall’entusiasmo dei fedeli. Si avvicina uno dei commessi: «Come può permettersi di causare tutto quell’intasamento?». Mi mordo le labbra per non rispondergli, Bahia è terra di tolleranza. Poco dopo gli fa eco la cassiera: «Ma non si rendono conto che è solo un uomo? Guarda come lo vogliono toccare! Poveri ignoranti». Qualche ora dopo racconto tutto a padre Ignazio, missionario del Pime, un amico che insieme a 50 giovani sta partendo per Rio de Janeiro. Anche lui per vedere, per toccare.
Martedì, 23 luglio. Daiane è evangelica. La fanciullezza trascorsa tra gli amici cattolici e poi il passaggio a un’altra chiesa. Mesi fa le hanno diagnosticato un male terribile, il lupus. Oggi sono andato a trovarla. Nella sua stanza non c’è quasi nulla, al suo fianco la madre. Chiedo se avevano visto l’arrivo del Papa. Daiane mi dice di sì con un filo sottile di voce, mentre le si apre un sorriso davvero bello. La mamma, Dominga, mi confessa che a colpirle di più era stato il volto sempre lieto di Francesco. Anche il volto di sua figlia mi ha sempre colpito, lieto nelle stanchezze dei mesi passati in ospedale, nella prova che può indurire il cuore. Mi sono reso conto più tardi di aver vissuto un istante di vero ecumenismo.
Mercoledì, 24 luglio. Avevamo dato l’avviso a tutte le messe: «Ci troviamo alla chiesetta, mercoledì, alle 10. Con un signor televisore nel mezzo, reciteremo il rosario per la Nostra Signora della Concezione, la patrona del Brasile e a seguire guarderemo la Messa del Papa».
I ragazzini che non frequentano la scuola sono sulla strada a giocare, come sempre a torso nudo e scalzi, e notano l’insolito trambusto davanti la chiesina. Di tanto in tanto mettono dentro il muso, poi escono di nuovo. Ma quelli che entrano, ventidue adulti e tre ragazzi, sono uno spettacolo. A San Paolo tira un’aria fredda e la tv mostra pellegrini con cappotti e giacche pesanti che nella Bahia non si sono mai visti. Il brusio lascia il posto a un silenzio del tutto inusuale in quella parte di favela: accade quando tutti vedono quell’uomo tutto solo davanti all’immagine di Maria, in un colloquio fatto di sguardi. Tra i presenti in chiesa c’è Edineia, in uno zebrato piuttosto inconsueto da queste parti. Nella sua strada, popolosissima, la conoscono tutti. Mi mostra entusiasta una foto del Papa. La appenderà a casa sua. E questo, forse, le basterà.
Nel pomeriggio mi trovo a Boiadero, un’altra parte del quartiere. Mi ferma la madre di Joao Vito: «Padre, continuo a piangere per la commozione. Ogni volta che accendo la tv mi metto a piangere. Non so più cosa fare, devo accendere ancora?». Ad una manciata di metri tira aria di festa. Jaqueline possiede un piccolo bar dove vende frutta, qualche caramella e molta cachacha (liquore locale, ndr). Sono le cinque, il tramonto è bellissimo vicino al mare. Mi siedo al tavolino per raccontarle di Aparecida. Ma lei mi anticipa e mi racconta dell’elicottero del Papa, «non doveva alzarsi da terra a causa del maltempo, ma poi è partito». Sa tutto, mi dice perfino che mi ha cercato tra i preti che «erano ben vestiti vicino al papa», ma non mi ha trovato. La sera la ritrovo in quella stradina piena di musica. È seduta con una quindicina di parenti a festeggiare il compleanno del marito. Mi invita a sedere e mi chiede di raccontare a tutti del Papa. Miseria! Da lei mi sarei aspettato tutto ma non questo: che anche lei faccia parte di quelle “sorprese” – come le ha chiamate Francesco – che il buon Dio ci prepara sempre?
Giovedì, 25 luglio. Un giornale locale mostra in terza pagina la bellissima foto di papa Francesco che bacia un bimbo e titola “O dia dos beijos” (Il giorno dei baci). La mostro a dei bambini che osservano divertiti e forse un poco invidiosi. Entro nell’“invasione”, un insieme di baracche di legno che si affacciano su vie strette e piene di fango. Esce la ragazzina che cura i quattro fratellini e, non è una novità, mi chiede qualcosa da mettere sotto i denti. Faccio visita alla baracca di donna Alda, la barricadera che fa quasi da sindaco in questo poverissimo mondo. Le regalo un portachiavi con l’immagine del Papa. Lo accetta commossa, gridando ai quattro venti che lì vi appenderà la chiave della casa che attende dal governo. Mi racconta che la mattina era stata in città. Là, trovato un televisore, ha potuto assistere alla diretta sul Papa che visitava la favela di Varginha. E una cosa l’ha molto colpita, la battuta con cui il Papa parlava dei brasiliani, capaci di accoglienza e condivisione. «Appartiene alla vostra umanità – diceva il Pontefice – aiutare chiunque si trovi nel bisogno, anche quando voi stessi vivete nell’indigenza. Perché, come voi dite felicemente, basta buttare altra acqua tra i fagioli!». «Padre, mi creda: noi abbiamo proprio un cuore così», mi dice Alda. Le credo senza fatica perché molte volte l’ho vista cucinare sulla stufa arrugginita per tutta la sua gente.
All’improvviso arriva Marinalvo, un giovane che vive con la madre in un’altra strada. Conosco la sua vita e i traffici che ha in piedi. Fiuta al volo di che stiamo parlando e ci si tuffa. «Mi è piaciuto quell’uomo. Ho visto come ha abbracciato i tossici. Non gli ha “sparato” in faccia i loro errori, ma ha detto che anche loro vanno aiutati perché sono dei poveri cristi. Mi è piaciuto proprio». Lo ripete altre due volte, quasi invitandomi a riconoscere che anche in lui, mescolato col male, c’è del bene.
Quando esco, un diluvio rende viscide le stradine. Vado a casa di Raquel. È da poco uscita dall’ospedale, dove hanno cercato di metterle a posto un femore. La servono tre donne, tutte allevate, insieme a un’altra quindicina di persone, da questa vecchia in poltrona. La più giovane è mia amica. Sta per uscire dalla stanza, forse per darmi la possibilità di confessare la “mamma”. Poi torna sui suoi passi quando vede che vogliamo solo recitare il Rosario. Lei non ha visto nulla del Papa, ma forse intuisce che noi cattolici possiamo portare qualcosa di buono alla sua vita. Credo che la visita di Francesco sia anche questo: non solo per i giovani sulla spiaggia di Copacabana ma anche per quelli più lontani, alla presenza di quell’uomo vestito di bianco si accompagna un presentimento di bene.
E mi colpisce quel che mi racconta Maria, un’amica che abita a due passi dalla casa di noi padri. Il nipote di 22 anni vive con lei da alcuni mesi. Venuto da una regione cattolica qui si è fatto testimone di Geova. È la storia di molti da queste parti. La zia è rimasta incredula quando lo ha visto, emozionatissimo, scattare diverse foto davanti allo schermo che mostrava il Papa alla Via Crucis, come per poter prolungare qualcosa di bello. E Tina conferma: «I miei vicini non perdono una trasmissione, e sono evangelici!».
Venerdì, 26 luglio. Stamane il quotidiano bahiano con maggiore tiratura riservava una terza pagina orribile. Nella parte superiore una immagine di Benedetto XVI in vesti liturgiche solenni e a lato le parole “homem de ouro” (l’uomo del lusso). Sotto, una foto di papa Francesco in abiti liturgici, accompagnata dalla scritta “homem do povo”. Joseilma mi racconta che già ieri, nella facoltà di Pedagogia, si andava giù duro. Il Papa che bacia i bambini? Solo un trucco per guadagnarsi la simpatia dei padri! Un viaggio ricco di umanità? Macché, è suggerito da un calcolo politico!
Qui da noi va molto forte la Chiesa Universale del Regno di Dio, parte della galassia evangelico-pentecostale. Nella favela hanno collocato altoparlanti ad ogni fermata di autobus. In Brasile controllano una cinquantina di emittenti radiofoniche. Il loro fondatore, Edir Macedo, oltre a criticare i governanti per aver usato denaro pubblico per ricevere il Papa, ha avanzato critiche veementi al Vaticano sulla questione dell’indulgenza plenaria via internet. L’uomo, che già si era schierato a favore dell’aborto, si è affrettato a dire che con questa sorta di ticket online si garantirà l’impunità agli assassini, agli adulteri, ai pedofili. Altri della stessa chiesa mi fanno notare che sotto al palco ci sono presidenti e vicepresidenti di molte nazioni latinoamericane. E questo, a loro dire, avviene “secondo il tipico stile cattolico”: i governanti sono in prima fila nonostante il loro, non certo ineccepibile, pedigree cristiano. Ma questo stile, prima che cattolico, mi pare del Vangelo. Vogliono stabilire loro chi è degno di stare accanto al Papa? Può starci solo la brava gente? Chissà cosa penseranno di quella ragazza che ha fatto cento metri di corsa per consegnare una lettera al Papa? Quale grave peccato avrà mai compiuto? E delle file di giovani ai confessionali? La risposta più bella, senza dubbio, è quella di Francesco alla Via crucis: «Quale che sia la colpa di cui ci siamo macchiati, a casa troveremo sempre chi è pronto ad accoglierci. Un Padre con le braccia aperte», proprio come il Cristo Redentore di Rio.
Sabato, 27 luglio. Dopo il discorso, l’adorazione eucaristica. Il silenzio a quel punto è sceso sul Campus Fidei di Copacabana. E sullo sterminato tappeto di giovani. Rimango colpito anche dai tre giovanottoni che ci servono ai tavolini, in tenuta elegantissima. Guardano i clienti con un occhio, e con l’altro sbirciano il grande schermo: sembrano essere interessati. Ne accosto uno e gli domando se è cattolico o evangelico. Ha ricevuto il battesimo, ma poi ha abbandonato tutto. Eppure stanotte lo vedo pieno di stupore davanti a quel che accade. Un altro mi assicura che le persone presenti sono il doppio di quelle che partecipano al tradizionale capodanno.
Domenica, 28 luglio. La mattina seguente, c’è la messa conclusiva e i due milioni diventano tre. Nella notte, ricercatori e sociologi li hanno passati ai raggi x, trovandoli un po’ schizofrenici. Un giornale spiega che i giovani sulla spiaggia di Copacabana vorrebbero invitare il Papa a posizioni più “liberali” su questioni come l’uso del preservativo (il 65 per cento sarebbe a favore), la pillola (la approverebbe il 53 per cento) e che un quarto degli intervistati spingerebbe addirittura per legalizzare le unioni tra persone del medesimo sesso. Vorrei dire a quei professoroni: “La Maddalena ha abbandonato la prostituzione prima di incontrare Gesù? Oppure è cambiata dopo l’incontro?
È domenica pomeriggio e mi trovo tra le stradine della mia favela. Una ragazzina mi blocca e mi invita all’incontro con quelli della sua chiesa, “Casa delle benedizioni”, anche questa protestante. Tra poco il pastore Almiro chiederà a tutti da che cosa vorrebbero essere liberati. Si dovrà crociare sul foglietto il bisogno più sentito, e poi mettersi a pregare per 21 settimane se si vuole “averla vinta”. Ricordo all’improvviso che sullo stesso mare, ma a moltissimi chilometri di distanza, è arrivato giusto una settimana fa un uomo, e ha bussato alla porta ripetendo le parole di Pietro: «Chiedo permesso per entrare e trascorrere questa settimana con voi. Io non ho né oro né argento, ma porto ciò che di più prezioso mi è stato dato: Gesù Cristo». Non una formula per risolvere i nostri problemi, ma l’offerta di ciò che ha di più caro, e la certezza che con Lui l’avventura del vivere si fa più saporita. Non ci ha ingannati dicendo che ci avrebbe tolto tutti i problemi. Ha detto: «Se vuoi un piatto saporito metti il sale. Se vuoi una vita piena di gioia e speranza metti Cristo». Ora son proprio curioso di abbracciare i nostri ragazzi che stanno ritornando da Rio. Andrea mi ha scritto: «Padre, la Gmg è stata incredibile. Esco di qua con la certezza che Cristo mi ama».
Don Emilio Bellani è missionario Fidei donum a Salvador Bahia (Brasile) nella favela di Novos alagados