Le discussioni sul Recovery Plan nel nostro Paese sin dall’inizio si sono collocate in un contesto di conflitto fra esigenze congiunturali e strutturali, mentre l’emergenza economica e sociale che il Governo è stato chiamato a fronteggiare si è scontrata sin da subito con la scarsità dei fondi pubblici a disposizione. L’esecutivo, da un lato, ha avuto l’esigenza di soddisfare bisogni crescenti di famiglie e imprese generati dagli effetti economici negativi della pandemia, dall’altro si è reso conto dei vincoli fiscali a lungo termine che ovviamente diverranno via via più stringenti. In altre parole, sono ormai giunti al pettine i temi di natura strutturale che erano stati messi in soffitta per più di un ventennio.
L’Italia dovrebbe guardare al suo futuro riappropriandosi della capacità progettuale e coniugando i temi di equità, oltre che di efficienza allocativa delle risorse. Quella che il filosofo tedesco Ralf Daherendorf chiama la quadratura del cerchio. Il Recovery Plan dovrebbe essere l’occasione per avviare anche in Italia quegli interventi strutturali che sono stati sempre sacrificati sull’altare della congiuntura. Il nostro Paese avrebbe bisogno di un programma di investimenti pubblici in grado di trainare la domanda aggregata di consumi più investimenti, di generare nuovi posti di lavoro e di dare sostegno alle imprese. Ma, soprattutto, di spingere il modello di crescita e il nostro settore produttivo sulla strada della sostenibilità e di un’economia che metta al centro le esigenze delle famiglie e delle imprese.
Il piano dei vaccini, ad esempio, comporta uno sforzo enorme ma è anche un’occasione da cogliere al volo per praticare una riforma radicale nel nostro sistema sanitario, grazie alle risorse finanziarie messe a disposizione dal Recovery Plan, creando un sistema di medicina territoriale che finora è mancato, capace di garantire al meglio il sacrosanto diritto alla salute e di superare quelle diseguaglianze sanitarie esistenti tra le varie aree del nostro Paese. L’errore che ha compiuto il Governo Conte è stato quello di non richiedere sin dalla primavera il Mes sanitario. Com’è noto, ragioni ideologiche di parte della maggioranza lo hanno impedito. Ora si può correre ai ripari utilizzando parte dei fondi messi a disposizione dal Recovery Plan per cambiare radicalmente il nostro sistema sanitario.
Ma a che punto siamo? Il dimissionario Conte dice che bisogna accelerare sul Recovery Plan. Nemmeno una settimana fa diceva che tutto andava per il meglio, che il nostro piano era ben congegnato e che una caterva di miliardi europei avrebbe cambiato in meglio le sorti del nostro Paese. Il piano definitivo dovrà essere presentato entro la fine del mese di aprile. Nello stesso mese, come da prassi, si dovrà varare anche il Documento di Economia e Finanza di cui il Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza sarà la parte rilevante. A partire da quella data la Commissione Europea avrà due mesi di tempo per la valutazione e per la trasmissione all’ECOFIN che dovrà approvarlo a maggioranza qualificata. Poi ancora un mese per l’approvazione e si arriverà a fine luglio. Successivamente inizierà la parte centrale del Recovery, con l’emissione di titoli e le prime erogazioni pari al 10% della dotazione (per l’Italia circa 20 miliardi). Prevedibilmente si arriverà a fine agosto-inizio settembre, in tempo per la Nota di aggiornamento al DEF (naDEF) e per il documento programmatico di bilancio.
In altre parole, i primi effetti sul quadro macroeconomico italiano del Recovery Plan si potranno apprezzare nella seconda metà del 2022. Potrebbe essere troppo tardi, visto che l’Italia è in una sorta di terra di mezzo. Nel senso che per la crisi politica e di governo ancora non si vede una soluzione e, in secondo luogo, per il Recovery Plan si sono fatti passi in avanti ma ci sono ancora molte criticità da superare. Mentre la crisi economica e sociale è pronta a deflagrare con effetti a cascata difficili da immaginare.
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