Magistrati indipendenti (di sinistra) Lunedì 6 dicembre il presidente della Corte costituzionale Vincenzo Caianiello nel corso del convegno “Tornare alla Costituzione” organizzato a San Macuto dal comitato promotore dei referendum ha dichiarato che quello giudiziario “è un potere che non può fare una sua politica come sembra sia accaduto in alcuni casi” osservando che il divieto per i magistrati di iscriversi ai partiti non può essere solo una formalità. Il Parlamento, ha continuato Caianiello, deve adottare “tutte le misure indispensabili perché i singoli magistrati non solo siano indipendenti dalla politica ma appaiano anche tali”.
Quella della indipendenza della magistratura appare sempre più come una tremolante foglia di fico da esibire a seconda degli interessi e delle circostanze. Sulla questione il miglior commento è quello espresso da uno dei leader storici di Magistratura democratica (e autore del libro “Toghe rosse”) Francesco Misiani in un’intervista rilasciata al Giornale martedì 7 dicembre. “Non c’è bisogno di padrini – ha detto a proposito dell’accusa rivolta ai Diesse di essere i mandanti delle “toghe rosse” -. In un gruppo di magistrati c’è, e nel passato c’è stata anche di più, un’adesione profonda alle tesi della sinistra. Anzi, diciamola tutta: la sinistra è stata il valore per eccellenza: tutto il resto era cacca”. “Nel momento delle scelte un magistrato di sinistra guarda con grande attenzione a destra, è portato a sottovalutare le responsabilità della sinistra. Detto in soldoni, visto che l’obbligatorietà dell’azione penale è una finzione, privilegia alcune piste rispetto ad altre”. E ripercorrendo la storia della nostra magistratura della quale Misiani è stato uno dei protagonisti, il pm, ora al Tribunale della libertà di Napoli, ha detto: “Davanti all’emergenza terrorismo, alla fine degli anni 70, Md si è spaccata in due. L’ala extraparlamentare, in cui il sottoscritto militava con Coiro e tanti altri, sosteneva che le garanzie processuali dovevano essere salvaguardate. L’altra parte, quella in cui c’erano personaggi dello spessore di Caselli predicava la legislazione d’emergenza. Quegli uomini volevano salvare la democrazia e la sinistra: e per farlo erano disposti a comprimere i diritti. L’operazione 7 aprile, con l’arresto di numerosi esponenti di Autonomia, poi assolti, è la dimostrazione di quel che dico”. “I guai sono cominciati allora. Aperta la breccia, è stato facile ripetere il gioco: prima con la mafia, poi con Tangentopoli”. La quale, conclude Misiani, “è stata il trionfio del giustizialismo: l’eliminazione, anche per via giudiziaria, di una classe politica ritenuta indecente secondo i canoni della sinistra”.
Le tessere dell’Asinello In settimana si sono registrate numerose polemiche all’interno del partito dei Democratici in vista delle assemblee regionali e in particolare a proposito del tesseramento degli iscritti per eleggere i delegati da inviare alle assemblee del partito. Le polemiche sono culminate con la decisione di rinviare a gennaio le assise del movimento e la conseguente voci di dimissioni da parte di Di Pietro.
A quanto pare il partito dei nuovissimi si dibatte nel vecchissimo problema della gestione delle tessere e dei rapporti di potere tra le correnti. Significativa, del resto, la dichiarazione rilasciata a Radio radicale dall’insospettabile Elio Veltri, esponente dell’Asinello e dipietrista della prima ora: “Abbiamo raccolto la pattumiera della prima repubblica. Il Lazio è la regione con il maggior numero di tessere, ma la Provincia di Cosenza ha 700 tessere in più dell’intera Lombardia”.
Pressione Viscale Lunedì scorso (6 dicembre) il Governatore della Banca d’Italia Antonio Fazio, intervenendo all’accademia della Guardia di Finanza ha chiesto, al cospetto del ministro delle Finanze Vincenzo Visco, che il governo “nel rispetto dei vincoli imposti dagli impegni internazionali” di proseguire “con decisione verso una riduzione progressiva della pressione fiscale. Agli impegni già assunti con la legge finanziaria è necessario far seguire annunci di ulteriori riduzioni anche per gli anni successivi”. Visco si è limitato a commentare che “il calo della pressione fiscale è la strategia del governo da quattro anni”.
Per fortuna questa volta Visco ci ha risparmiato il solito fervorino sulla sensibile riduzione fiscale e sugli sforzi attuati dal governo per le imprese, “per cui ora tocca agli imprenditori fare la loro parte”. Come se gli imprenditori avessero interesse a non sfruttare condizioni favorevoli agli investimenti e al guadagno, qualora ci fossero. Ma, appunto, vediamo quali sono i famosi sforzi in materia fiscale del governo. Il fisco italiano assorbe il 43,5% del prodotto interno lordo: la percentuale più alta di sempre visto che nemmeno Amato, che nel ’92 procedette con il famoso prelievo sui conti correnti degli italiani, arrivò a tanto fermandosi al 41,3% del Pil. Successivamente la cura Ciampi ci portò al 42,8% e dopo un attimo di sollievo con Berlusconi e Dini (nel ’94, 40% e nel ’95, 40,3%), proprio con l’arrivo di Visco il prelievo fiscale è decollato al 42,2% del Pil fino all’attuale 43,5% (dati Eurostat). E i risultati si vedono: l’economia italiana è in fondo a tutte le classifiche con lo stesso Massimo D’Alema costretto ad ammettere che “siamo in ritardo, la nostra è la crescita economica più bassa rispetto all’Europa”. D’altra parte non è con la demagogia e i trucchetti contabili che si permette la crescita di un paese.
Cattolici e politica Nell’omelia della tradizionale Messa della vigilia si Sant’Ambrogio, l’arcivescovo di Milano Carlo Maria Martini si è rivolto ai cristiani impegnati in politica spronandoli a non farsi ridurre “alla gamba moderata degli schieramenti”. Nell’omelia il cardinale ha stigmatizzato “il male oscuro dell’accidia politica”, ovvero una sorta di “neutralità appiattita” dalla quale consegue “un aprioristico giudizio di equivalenza formale di ogni progetto o comportamento”. L’accidia politica, ha continuato l’aercivescovo, comporta che “alte poste in gioco come la vita, la sessualità, la famiglia, l’educazione, il lavoro, le fragilità sociali, non appena siano affrontate con qualche discorso di senso e di valori, e si avanzano richieste conseguenti, vengano rinviate al mittente come attacco ai diritti individuali di ‘altri’”. “Le encicliche sociali – ha concluso il cardinal Martini – vedono il cristiano come depositario di iniziative coraggiose e d’avanguardia. L’elogio della moderazione cattolica, se connesso con la pretesa che essa costituisca solo e sempre la gamba moderata degli schieramenti, diventa una di quelle adulazioni di cui parlava Ambrogio, mediante la quale coloro che sono interessati all’accidia e all’ignavia di un gruppo, lo spingono al sonno”.
Sempre più i cattolici sono chiamati a misurarsi, più che sulle etichette, sui reali contenuti delle proposte. Non di un partito dei cattolici si sente la mancanza, ma di cattolici disposti a battersi per la realizzazione di ciò in cui credono.