Articolo tratto dal numero di Tempi in edicola (vai alla pagina degli abbonamenti).
Per anni ci siamo raccontati che i mali dell’Italia discendevano dalle ruberie Psi-Dc («in questo mondo di ladri», cantava Venditti). Poi, per anni, giornali e film ci hanno narrato l’intreccio tra Stato e Cosa Nostra. Quindi è arrivato il tempo della calamita Berlusconi che ha attratto a sé ogni odio e livore, polarizzando lo scontro fra onesti e disonesti. E ora, che accade ora?
Accade che basti l’ipotesi di turbativa d’asta per essere arrestati (Uggetti a Lodi) e che nemmeno i campioni dell’onestà siano immuni da rogne giudiziarie (Nogarin a Livorno e Pizzarotti a Parma). Accade anche che Mannino – dopo venticinque anni – sia riconosciuto innocente. Accade che il generale Mori – a più di vent’anni dai fatti – sia scagionato da ogni sospetto malavitoso (ciaone Travaglio).
Cosa ci dicono queste pindariche chiose a margine di cinque lustri della nostra storia? Ci suggeriscono che la giustizia – e non solo quella che tocca la politica – non è uno dei problemi del nostro paese. È “il” problema, come si vede dalla titubanza degli investitori esteri che tergiversano a portare capitali nel paese dove ogni tribunale è un porto delle nebbie.
Bene, cioè male. A Palazzo Chigi abbiamo un presidente del Consiglio che iniziò la carriera grazie a uno scandalo che mise fuorigioco dalla corsa a palazzo vecchio Graziano Cioni (a proposito: è appena stato assolto). E all’Anm abbiamo Davigo, quello dell’assunto “politico-indagato-politico-colpevole”.
Male, cioè malissimo. O un cambio di mentalità arriverà dall’interno stesso della magistratura o rimarremo così per altri cinque lustri. Di magistrati in gamba ne esistono: perché non parlano? Alcuni di loro (Tony, Fiandaca, Nordio) non mancano di far sentire la loro voce. E tutti gli altri?
Foto Ansa