Giuliano Bignasca, leader della Lega in Svizzera che copia Formigoni

Di Chiara Sirianni
26 Aprile 2011
E' l'Umberto Bossi svizzero e ha portato la Lega dei Ticinesi ad essere il primo partito del Canton Ticino. Il segreto del suo enorme consenso è fatto di rottura rispetto all'establishment politico, linguaggio da protesta, agitazione delle paure dei cittadini, xenofobia e una forte sensibilità sociale

Il vento leghista è arrivato anche in Ticino. La Lega dei Ticinesi è diventato il primo partito del Cantone, con un aumento di circa otto punti rispetto alle precedenti elezioni. Il fenomeno è molto simile a quello della Lega Lombarda (oggi Lega Nord) e anche se sono gli aspetti di colore a fare notizia (i frontalieri italiani invitati non troppo gentilmente ad andare “fora da i ball”, per usare una recente battuta di Umberto Bossi) la vittoria di Giuliano Bignasca, leader della Lega Ticinese, è il risultato di un consenso che travalica il livello della mera ondata xenofoba.

I motivi di questo grande successo elettorale? «Il fiuto politico e la capacità comunicativa del suo leader, innanzitutto. L’aver trovato un secondo volto diplomatico per l’Esecutivo (Norman Gobbi, accanto a Marco Borradori, primo ministro leghista eletto a sorpresa nel 1995), e – soprattutto – la profondissima crisi dell’ex Partito di maggioranza relativa (i Liberali Radicali) e in generale dei tre partiti storici: Liberali Radicali, Popolari Democratici (la nostra DC) e i socialisti».

Secondo Massimiliano Herber, giornalista di Rsi (Radio Televisione Svizzera Italiana) è più che altro l’aspetto di rottura rispetto all’establishment politico tradizionale ad aver rappresentato una carta elettorale vincente per l’Umberto elvetico. Unito a una buona dose di ambiguità, per cui nonostante abbia conquistato la maggioranza relativa (2/5) nel governo cantonale, Bignasca utilizza un linguaggio politico tipicamente da protesta, da opposizione. E questo suo dualismo – l’essere allo stesso tempo uomo di lotta e uomo di governo – è la sua forza.

In un contesto di crisi (disoccupazione tra le più alte in Svizzera e ridimensionamento della Piazza Finanziaria) Bignasca agita le paure del lavoro (“rubato” dai frontalieri, che oggi sono 50.000) e punta il dito contro gli accordi bilaterali con i Paesi dell’Unione Europea (votati dalla Svizzera nel 2002  ma bocciati dal Canton Ticino). Questi accordi consentono la libera circolazione delle persone – tra Italia e Svizzera, per esempio – e vietano il contingentamento della manodopera estera (come era prassi prima del 2004).

In quanto alla capacità comunicativa, basta dare un’occhiata a Il Mattino (www.mattino.ch) domenicale gratuito diretto da Giuliano Bignasca, a metà tra Vernacoliere e La Padania (motto: “ribellarsi sempre”) per capirne l’immediatezza (spesso e volentieri, anti-italiana).
 
Per Herber mandare a casa parte dei frontalieri (fra parentesi: cosa dirà Bossi ai tanti lumbàrd che ogni giorno attraversano la frontiera per andare a lavorare, magari con la tessera della Lega Nord in tasca?) è semplicemente impossibile. «Vuoi perché rappresentano la forza lavoro che permette al Canton Ticino di essere economicamente competitivo, vuoi perché è un problema di politica internazionale curata dalla Confederazione e non dai singoli cantoni». E Bignasca lo sa bene. Discorso analogo vale per il ristorno delle imposte dei lavoratori frontalieri: la Lega chiede di abbassare sensibilmente l’aliquota dell’ imposta alla fonte ristornata ai comuni italiani di frontiera, passando dal 33,8% attuale al 12,5%, come quella adottata con l’Austria.

Ma l’accordo con l’Italia risale al 1974 e deve essere rinegoziato da Berna (a livello centrale) e non dal governo cantonale. Intanto però, la propaganda prosegue, e a colpi di dichiarazioni spregiudicate («Per frenare il flusso dei profughi dalla vicina penisola alla Svizzera – ha detto Bignasca – bisognerà costruire un muro di cemento alto quattro metri lungo tutta la frontiera con l’Italia») forgia l’immaginario collettivo. «Ancora ieri sera in diretta tivù Bignasca ha dichiarato che il muro costerebbe “solo” 15 milioni di franchi» prosegue Herber. «È una chiara boutade, per cavalcare il problema dell’afflusso dei profughi del Nord Africa puntando sulla leva emotiva». Ma anche in questo caso la sicurezza alla frontiere è coordinata a livello federale, non dipende quindi dal Canton Ticino.

Accanto ai temi caldi, da campagna elettorale, vanno aggiunti due elementi: la politica agguerrita di alleggerimento fiscale e una forte sensibilità sociale (dai contributi per pagare la mutua al “buono nascita”, copiato esplicitamente dal presidente della Regione Lombardia Roberto Formigoni). «Tutte caratteristiche che fanno della Lega un partito della destra sociale più che di destra».

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