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Storia di Giulia, «privilegiata» grazie alla malattia

Un libro racconta gli ultimi mesi e la fede di una ragazza «fortunata» perché nella sofferenza ha «scoperto che la vita è un dono»

Emmanuele Michela
23/01/2022 - 6:20
Società
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«Sono una ragazza fortunata, grazie alla malattia ho scoperto che la vita è un dono, che va vissuta intensamente perché a nessuno è dato sapere quanto ancora resteremo in questa terra; sono fortunata perché ho avuto il preavviso. Mi è stato ricordato di vivere ogni giorno come se fosse l’ultimo, ma sperando di non morire mai. Sono una privilegiata». Allarga le braccia alla vita, Giulia, e ha il sorriso pieno nella copertina del libro che ha scritto sua mamma, Pina Di Maggio, per raccontare i mesi trascorsi dalla figlia a contatto con la linite plastica, il tumore allo stomaco scoperto nel giugno 2019 e che ha portato a compimento la sua vita terrena lo scorso 22 marzo, a Catania.

Una presenza viva e non nostalgica

Il volume si chiama proprio “Sono una privilegiata”, e a dire il vero fu iniziato da Giulia quando scoprì di avere il cancro: Pina ha voluto portare a termine il lavoro dopo la morte della ragazza, per «rendere viva e non nostalgica la sua presenza nelle nostre vite e, attraverso il racconto, trovare spunti ed esempi da seguire “implorando Dio – come dice Papa Francesco – di non lasciarci soli in balìa della tempesta”». È un volume piccolo ma intenso: non c’è una parola sprecata. Giorno per giorno emerge il dramma della malattia che prende Giulia, le cure che non danno effetto, i conati di vomito continui, il terreno che sembra precipitare sotto i piedi. Ma anche l’insopprimibile voglia di vivere della ragazza, i messaggi di sostegno che lei per prima inviava ai famigliari, il rapporto col fidanzato. E in tutto ciò, il «grido continuo» di una madre che alla figlia vorrebbe togliere quella fatica, la sua ricerca di un senso, e ancor più di volti e compagni con cui affrontare la prova.

Tempi a Caorle per il Premio Luigi Amicone 2023 - Chiamare le cose con il loro nome Tempi a Caorle per il Premio Luigi Amicone 2023 - Chiamare le cose con il loro nome Tempi a Caorle per il Premio Luigi Amicone 2023 - Chiamare le cose con il loro nome
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«Come faccio a essere certa che la sofferenza non è inutile, che il destino non gioca con la mia vita?», chiede Pina ad un sacerdote, ad un ritiro d’avvento nel 2020. Intanto Giulia entra ed esce dall’ospedale, dopo che a febbraio, quando già era in sala operatoria, le era stato annullato l’intervento di asportazione dello stomaco, poiché il tumore era già in stadio troppo avanzato. Inchioda il racconto dell’ultimo Natale trascorso assieme: la famiglia si riunisce a Monza, a casa di Viviana, la sorella maggiore, assieme ai nipoti. Giulia fa di tutto per esserci: ha febbre alta e si inietta in vena il paracetamolo per prendere l’aereo e passare i thermoscanner. Nei giorni successivi è stremata, vomita di continuo. Eppure il 25, durante il pranzo, trova la forza di dire alla sua famiglia: «La vita è un dono, e noi siamo fortunati perché la stiamo vivendo intensamente in ogni suo momento».

La richiesta della sedazione profonda

È quello che farà fino alla morte, il 22 marzo. Nelle settimane precedenti Giulia si chiude nella lotta silenziosa, Pina prega perché la figlia possa avere il desiderio di accostarsi ai sacramenti: «Scopro che il Creatore è anche Creativo. Una sera, facendo un po’ di zapping in tv, trovo un programma che parla, giustappunto, del sacramento dell’unzione degli infermi; il protagonista, intervistato, racconta di aver ricevuto il sacramento per ben quattro volte durante una malattia che lo stava portando alla morte. Eppure, per Grazia di Dio, è ancora lì a raccontare la sua storia. Lo colgo come un segno per me». L’indomani ne parla alla figlia, che accetta: «È il suo primo sì a Cristo, dopo tanto tempo, dall’ultima volta che si era accostata ai sacramenti, e a questo punto della sua vita».

Giulia chiede poi la sedazione profonda, spiazzando la madre: «Vedendo quanto fossi scioccata dalla sua richiesta, stavolta è lei che spiega a me: ci tiene a rassicurarmi e mi spiega che non si tratta di eutanasia, ma di una modalità che, tenendola in uno stato di sonno, le permetterà di non vomitare più, aspettando il compimento della vita. (…)  Scopro così che la sedazione profonda è una richiesta che la Chiesa accoglie nell’ambito delle cure palliative, ma può essere somministrata solo in presenza di circostanze ben precise, poiché comporta la riduzione e soppressione della coscienza; essa viene praticata solo in presenza dei cosiddetti “sintomi refrattari” ai consueti trattamenti e in fase di morte imminente, ossia quando l’aspettativa di vita del malato viene giudicata compresa tra poche ore e pochi giorni».

L’ultima messa prima di «andare da Gesù»

Prima di farsi sedare, Giulia partecipa ad una messa assieme a tutti i suoi famigliari, in casa. Per ognuno ha un pensiero, un saluto e un abbraccio. Rimarrà per 17 giorni in sedazione, alternando momenti di sonnolenza a momenti di estrema lucidità. «Credo che Giulia stesse già misteriosamente dialogando con il suo Sposo, come quella volta che, alzando le braccia verso il tetto della stanza, ci dice con insistenza che vuole andare a casa. Le diciamo che si trova già a casa, ma lei, con fastidio, ci dice di no. Proviamo a chiedere se voleva andare a casa sua, al resort (dove aveva un appartamento, nda), ma lei, sempre con cenni della testa, ci dice ancora di no. Con un timoroso tentativo, le dico se per caso vuole andare da Gesù e lei, con l’atteggiamento sollevato di chi finalmente si sente capita, mi dice di sì».

Per volontà della famiglia, il ricavato delle vendite del libro andrà alla Casa di Accoglienza per ex detenuti «Rosario Livatino» di Motta Sant’Anastasia, provincia di Catania.

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