Mentre scriviamo Giovanni Paolo II è al suo primo giorno di viaggio in Terra Santa, ma già conosciamo qualche ragione per cui i massmedia lo hanno definito “storico”: perché il Papa offre la sua stessa vita per la pace, perché non dimentica i diritti del popolo palestinese, perché vuole abbracciare i “nostri fratelli maggiori ebrei” che dopo secoli di persecuzioni vivono finalmente da uomini liberi nello stato di Israele. Storico perché avviene all’indomani di quella richiesta di perdono che ha fatto strabuzzare gli occhi di tanti uomini pii e stupito fino alle lacrime quelli di laici come Montanelli, Ferrara, Bernard Levi. Storico perché ribadisce “quella grande forza del Papa in ginocchio”, come se questo Papa volesse farsi e farci fretta, come se volesse dirsi e dirci che il tempo si fa davvero breve, come se sentisse e ci invitasse a sentire che non c’è altra missione da compiere che quella di sgombrare il campo da ogni pregiudizio psicologico, storico, sociologico e perfino teologico, “per affermare una positività” – ha scritto monsignor Luigi Giussani – “la positività di Cristo presente nella storia e vincitore”.
Davanti a tanta sfavillante libertà di Pietro, i più spiazzati sono sembrati essere proprio coloro che si pensava sarebbero stati i primi a comprendere i gesti del Pontefice, quegli uomini di establishment religioso che in ragione di un buon diritto a esprimere una opinione di carattere psicologico, storico, sociologico e perfino teologico, fanno spesso seguire e precedere il Papa da piccoli e grandi fuochi di sbarramento, fatti di distinguo, “se”, “ma”, “però”.
A casa nostra abbiamo ascoltato questi uomini illustri non soltanto nei loro dotti e pur sempre utili interventi sui giornali, ma ne abbiamo anche udito l’eco nelle lettere che riceviamo dai nostri affezionati lettori. I quali ci segnalano: qua, un ciclo di conferenze quaresimali con Giancarlo Caselli a cui è stata affidata la catechesi su “Perdono, riconciliazione, pace” (succede a Gorgonzola, per iniziativa di parrocchie in collaborazione con la locale giunta di centro-sinistra); là, (ad esempio a Bruzzano) il proliferare di giornalini parrocchiali che pare non abbiano nient’altro da proclamare per l’anno giubilare che la remissione dei debiti del terzo mondo. Per carità, tutte iniziative per bene: ma c’è bisogno di Gesù Cristo e della Chiesa cattolica per dire cose che dicono molto meglio e con più efficacia propagandistica i rap di Jovanotti e gli amici de L’espresso? Non si tratta di fare del moralismo alla rovescia e dedurre da tutto ciò i sintomi di una catastrofe a livello italiano ed europeo. Però ci colpisce leggere nel contesto del cristinesimo attuale quello che scriveva Soloviev sul finire dell’ottocento: “Il bizantinismo, che è stato ostile per principio al progresso cristiano, che ha voluto ridurre tutta la religione ad un fatto compiuto, ad una formula dogmatica e ad una cerimonia liturgica – questo anticristianesimo nascosto sotto una maschera ortodossa – ha dovuto soccombere nella sua impotenza morale di fronte all’anticristianesimo aperto ed onesto dell’Islam. È curioso constatare come la nuova religione, con il suo dogma fatalista, sia apparsa proprio nel momento in cui l’imperatore Eraclio inventava l’eresia monotelita, quella cioé dietro la quale si celava la negazione della libertà e della energia umana. Se non si tenesse in conto il lungo lavorio anticristiano del Basso impero, non vi sarebbe nulla di più sorprendente della facilità e della rapidità che caratterizzarono la conquista musulmana. Cinque anni furono sufficienti per ridurre a una esistenza archeologica tre grandi patriarcati della Chiesa orientale. Il fatto è che non vi erano conversioni da compiere, ma solo un vecchio velo da strappare. I Bizantini hanno creduto che, per essere veramente cristiani, fosse sufficiente conservare i dogmi e i riti sacri dell’ortodossia senza preoccuparsi di cristianizzare la vita sociale e politica; hanno creduto che fosse cosa lecita e degna di lode confinare il cristianesimo nel tempio e abbandonare l’agone pubblico ai principi pagani. Non poterono certo lagnarsi del loro destino. Hanno avuto quello che volevano: hanno conservato il dogma e il rito e solo la potenza sociale e politica è caduta in mano ai Musulmani, eredi legittimi del paganesimo”.