

Caro direttore, «il nichilista non crede di dover essere per forza logico»: così Friedrich Nietzsche sintetizzava lo spirito d’azione di chi ritiene che la verità non esista potendosi arrogare il diritto di coltivare il lusso di affermare tutto e il contrario di tutto senza avvertire il disagio dell’autonegazione e della contraddizione con se stesso.
Dello stesso arrogante spirito contraddittorio sembra informata l’epoca presente, quell’epoca in cui si celebra e si festeggia l’unione civile di Paola Turci e di Francesca Pascale e all’un tempo si festeggia la separazione di Ilary Blasi dal marito Francesco Totti, qualificando la prima come la vittoria dell’amore e la seconda come la vittoria della normalità.
Il nichilismo, come è noto, si fonda sull’aporia di base per cui l’unica verità è quella secondo cui non esiste alcuna verità, dandosi per vinta la palese contraddizione logica in virtù della quale se non esiste la verità non è vero che l’unica verità è che la verità non esiste, e, per converso, se è vero che l’unica verità che esiste è che non esiste la verità, allora la verità esiste.
In un tempo come quello attuale che ha assorbito, metabolizzato e fatto proprio a livello più intimo culturale, spirituale e giuridico il nichilismo più radicale senza neanche soffermarsi sul suo tipico e intrinseco non-senso, accade quindi che nel giro di pochi giorni si celebrino come una vittoria – non si capisce bene per chi – sia l’unione civile di due donne sia la tragica fine di un matrimonio tra un uomo e una donna.
Prescindendo adesso dai singoli casi in questione e dai profili personali, con i relativi dolori, le relative speranze, i relativi sogni, che essi implicano, non si può fare a meno di condurre alcune riflessioni di carattere più generale con lo scopo di mettere in luce le problematiche giuridico-esistenziali dell’uomo occidentale contemporaneo.
In primo luogo: l’idea che la normalità sia rappresentata dall’unione civile di due donne e dalla fine di un matrimonio tra uomo e donna, certifica in modo inequivocabile il rovesciamento etico-antropologico in atto da alcuni decenni in occidente che ha finito per fare dell’eccezione la regola e della regola l’eccezione.
Diversamente da quanto gli osservatori più superficiali e ideologizzati possano ritenere, tuttavia, non si tratta di inezie o di qualcosa di trascurabile, poiché il ribaltamento della dimensione valoriale in atto è all’un tempo causa ed effetto di quel nichilismo che come un tarlo sta divorando e lacerando sempre più velocemente la civiltà occidentale dal suo interno accelerandone non tanto e non solo il declino in senso culturale e morale, quanto e soprattutto la sua obliterazione dalle pagine della storia futura del mondo, un mondo sempre più dominato dalla forza brutale del totalitarismo capital-comunista cinese e dalla rampante e sempreverde teocrazia islamica.
In secondo luogo: l’idea per cui il diritto si debba sottomettere alla volontà transeunte socio-storicamente determinata, in base alla quale l’unione di due donne deve essere “normativizzata” e la fine di un matrimonio tra uomo e donna debba essere semplicemente “normalizzata”, non è una idea neutra o segno di progresso, poiché negando la giuridicità intrinseca dell’istituto matrimoniale a favore di una giuridicità artificiale e artificiosa si rinnega la natura del diritto riducendolo a mero strumento di potere individuale o collettivo, invece che espressione della naturale relazionalità umana secondo i dettami della retta ragione.
Rendere il diritto il “cameriere della storia”, come del resto accaduto durante la pandemia, significa porre le basi giuridico-culturali, come la storia stessa insegna, per le violazioni più disumane dei diritti fondamentali e per lo scivolamento dalla libertà assoluta alla assoluta tirannia.
In terzo luogo: non riuscire a cogliere la drammaticità dei fatti e non preoccuparsi per questi, come da parte dei più accade, specialmente tra il “distratto” e “distrutto” ceto dei giuristi che invece plaudono alle unioni civili e alle separazioni entrambe foriere di lucrosi guadagni, dimostra proprio la letargia della coscienza giuridica di una civiltà che ha oramai fatto il suo tempo e che, come afflitta da demenza senile, non è più neanche in grado di percepire e comprendere il proprio stesso male.
In conclusione, dunque, oltre le singole vicende personali delle due predette coppie, il tifo da stadio che intorno alle predette vicende si è sviluppato ricorda il delirio di massa che coglieva le folle al Colosseo invocanti con il pollice in giù il colpo di grazia del gladiatore moribondo da parte del gladiatore vincitore, confermando, ancora una volta, una precisa circostanza storica: la morte di una civiltà non si verifica tra riti funebri e mestizia collettiva, ma avviene sempre tra scroscianti applausi e grida di giubilo da parte di quei tanti che o si prodigano a tal fine o, perfino, assistono passivamente all’eutanasia dei fondamenti di quella civiltà, tra cui primariamente il diritto, e con esso, dell’umanità in se stessa considerata.
Foto Ansa
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