
In ginocchio a Capitol Hill
New York
Le ultime tre settimane sono state un di-sastro politico per i repubblicani. La loro maggiore consolazione è che ci sono ancora quasi tre settimane prima delle elezioni del Congresso (previste per il 7 novembre) e qualcosa di positivo potrà accadere in maniera altrettanto inaspettata di quanto successo con le note dolenti.
La sfortuna politica dei repubblicani è cominciata con la sempre crescente impazienza di moltissimi americani riguardo alla guerra in Iraq. Questo sentimento è stato acuito dalla pubblicazione di un nuovo volume della serie “La guerra di Bush” del rispettato giornalista investigativo Bob Woodward. Woodward ha una possibilità di accesso pressoché senza paragoni alle persone più strettamente implicate nella decisione del presidente di invadere l’Iraq ma anche ai documenti (molti dei quali segreti) che spiegano nel dettaglio come fu presa quella decisione. Questo libro chiarifica come i pericoli che ora si sono materializzati e ci hanno condotto all’attuale, di-sastrosa situazione erano noti e temuti da molti degli uomini coinvolti nella decisione, inclusi alcuni importanti esponenti delle forze armate. Ma il ristretto gruppo di persone (soprattutto i famosi neoconservatori) che supportava l’ipotesi della guerra e che dominava la schiera di ascoltati consiglieri del presidente non prese in considerazione questi timori. Secondo loro, la situazione irachena offriva un’opportunità strategica per implementare la loro visione di una politica estera post-guerra fredda basata sul potere militare statunitense e su un forte sentimento della missione americana di promuovere “libertà e democrazia” nel mondo come chiave per garantire la sicurezza del paese e dei suoi interessi, specialmente economici. La chiave per cogliere questa occasione fu collegare l’Iraq al trauma dell’11 settembre, ovvero presentare l’invasione del paese come un’importante fase della guerra contro il terrorismo. Il sostegno della maggior parte degli americani fu così assicurato. Quanto sta accadendo ora, invece, è la scissione del parallelo “guerra all’Iraq uguale guerra al terrore” nell’opinione di un numero sempre crescente di americani. Maggiore sarà il tasso di crescita di questo sentimento, più i Repubblicani saranno colpiti politicamente. La responsabilità americana nella promozione della democrazia e della libertà in giro per il mondo non costituirà infatti, da sola, sufficiente supporto per proseguire la guerra. Il libro di Woodward, con la discussione che esso ha provocato, è rimasto tra le news praticamente 24 ore al giorno, sia in televisione che alla radio. Questo fino a quando una nuova cattiva notizia per i repubblicani è giunta a prendere il suo posto. Una notizia, in questo caso, destinata a colpire proprio il cuore della coalizione necessaria ai conservatori per garantirsi la forza politica a livello nazionale.
La chiave di questa coalizione è l’immagine dei repubblicani come partito dei “valori americani” e della religiosità. E proprio questa peculiarità è stata minacciata dalla notizia che un noto esponente repubblicano al Congresso, Mark Foley dalla Florida, aveva usato internet per tenere conversazioni provocatoriamente sessuali con alcuni ragazzini impiegati al Congresso come paggetti. Ottenere vantaggi sessuali da minori rimane il peccato più imperdonabile (moralmente e legalmente) nell’America di oggi. Ebbene, questo membro repubblicano del Congresso non solo sembra essersi macchiato di tale reato, ma è anche un leader fra i massimi responsabili della legislazione che protegge i minori, occupandosi di comminare le pene più pesanti possibili a chi commetta simili molestie. Pare che un discreto numero di stagisti e membri dello staff del Congresso si sia lamentato per anni della situazione, ma la leadership repubblicana non ha mai fatto nulla al riguardo. Appena la notizia ha fatto irruzione sulla scena, i congressisti repubblicani si sono dissociati dallo scandalo, alcuni dei quali chiedendo le dimissioni di importanti leader del partito, tra cui lo speaker del Congresso.
I democratici non cavalcano l’onda
Attualmente è in corso una serie di inchieste e questo manterrà i riflettori puntati sullo scandalo come principale notizia politica, danneggiando non poco i repubblicani. I democratici, consci di questo, stanno provando in tutti i modi ad apparire sconvolti e non intenzionati a garantirsi un vantaggio politico dalla vicenda. La chiave per capire come questo scandalo influenzerà le elezioni è la risposta degli intellettuali conservatori, che rappresentano la base della coalizione repubblicana. Certamente, però, questi non hanno altro luogo politico in cui confluire in caso decidessero di lasciare il partito. Per i democratici, la speranza è invece rappresentata dalla classe media.
Il Partito repubblicano attrae questo gruppo sociale proponendo tasse più basse, sicurezza occupazionale, deregulation e responsabilità fiscale. Ed è proprio la fiducia che la classe media ripone nella determinazione repubblicana a dar corso a questo patto ciò che minaccia maggiormente il Partito repubblicano. Ho incontrato molti elettori repubblicani appartenenti alla classe media decisamente a disagio, alcuni addirittura arrabbiati, per il deficit del budget federale, per la crescente delocalizzazione del lavoro e per le conseguenze economiche, in termini di spesa pubblica e diminuzione dei salari, dell’immigrazione illegale e del rifiuto da parte dell’amministrazione Bush di penalizzare la grande impresa che trae beneficio dalla remissività degli immigrati che accettano lavori mal pagati. Per molti questa rabbia è sufficientemente profonda da spingerli a pensare di votare democratico. Di conseguenza, il Partito democratico sta provando a beneficiarne. Potrebbe quindi essere lo scontento della classe media la variabile che deciderà il risultato delle elezioni. In ogni caso, ci sono ancora più di due settimane prima del voto e, come abbiamo visto, tutto può succedere.
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