Pubblichiamo l’editoriale di Oscar Giannino pubblicato sullo speciale Grandi opere di Tempi del 2012.
Sulle opere infrastrutturali e sul ritardo italiano nel settore, il ministro Passera e il suo vice Ciaccia hanno messo mano a uno sforzo vero. Personalmente, gliene rendo atto. È presto per fare bilanci, ma almeno la questione è tornata in cima all’agenda nazionale. Per anni, la materia era rimasta sospesa tra convegni e denunce delle filiere d’impresa coinvolte. Nel frattempo, dopo la manomissione della legge obiettivo l’Italia restava incapace di realizzare un sistema intermodale di strade, ferrovie, porti, interporti e logistica. Incapace, quindi, di ritrovare la strada della crescita dopo aver costruito un’Alta Velocità monca perché non raccordata a quella dei Paesi vicini, dopo aver obbligato i porti a navigare a vista, dopo aver fatto proliferare aeroporti sotto casa e strade e ponti laddove inutili. I numeri sono stranoti. Ignazio Visco ne ha richiamato alcuni, alla Camera, il 19 giugno. Gli indicatori di stock infrastrutturale assegnano all’Italia uno svantaggio di circa il 15 per cento rispetto a Germania e Regno Unito all’inizio dello scorso decennio. Tra i grandi Paesi europei, il nostro è al primo posto per densità di veicoli sulla rete stradale. I 37 chilometri della rete metropolitana di Roma e gli 83 di quella di Milano si confrontano con i 402 di Londra, i 213 di Parigi, i 145 di Berlino.
Eppure negli ultimi tre decenni la spesa pubblica per investimenti italiana – in contrazione severa negli ultimi anni – è rimasta superiore a quella media di Francia, Germania e Regno Unito. Tra il 1980 e il 2010 la spesa dell’Italia è stata pari al 2,6 per cento del Pil, inferiore a quella della Francia (3,1 per cento), ma superiore a quella della Germania (2,2 per cento) e del Regno Unito (1,8 per cento). Ma i costi medi per chilometro dell’Alta Velocità ferroviaria sono stati circa tre volte superiori a quelli di Francia e Spagna; il divario in termini di tempi di realizzazione è analogo. Per le autostrade, i costi medi per chilometro sono più che doppi rispetto alla Spagna. Il progetto di completamento dell’autostrada Livorno-Civitavecchia nasce circa quaranta anni fa, nel 1968. Dal primo protocollo tra Ferrovie, Regione Lazio e Comune di Roma, nel 1994, al termine dei lavori per la Stazione Tiburtina, nel 2012, sono trascorsi 18 anni. Il primo studio di fattibilità per l’autostrada Milano-Brescia è del 1997. Ere geologiche fa.
Ora, di denaro del contribuente da spendere ne è rimasto poco. Per l’Italia nel 2012-2015 occorrerebbero 100 miliardi, 300 nel successivo quinquennio. Servono capitali privati. Che per allocare risorse hanno però bisogno di garanzie, di norme e tempi certi. Regioni ed Enti locali aggiudicano il 54 per cento degli appalti, ma le difformità tra la regolamentazione nazionale e quella locale determina aumenti dei prezzi di aggiudicazione fino al 20 per cento, con il risultato che molte gare vengono disertate dagli operatori del settore.
Il governo Monti si è mosso. Gliene va reso atto. Gli interventi di Passera e del viceministro Ciaccia hanno accolto molte delle proposte di filiera e di settore che con Tremonti restavano nei cassetti. A cominciare dai project bond, le obbligazioni con impatto nullo sulla finanza pubblica, messi in campo da soggetti privati, dai fondi pensione alle assicurazioni. Continuando con l’obbligatorietà del cronoprogramma dell’opera; l’approvazione della delibera Cipe da parte della Corte dei Conti scesa da 14 mesi a 60 giorni; la protrazione a 50 anni delle concessioni per le infrastrutture superiori a un miliardo; la retrocessione ai porti degli extraflussi Iva futuri, in modo da scontarli in banca e finanziare le opere necessarie; un piano che riclassifica su tre scaglioni gli aeroporti nazionali per priorità di assi di sviluppo del traffico. Senza dimenticare i passi avanti organizzativi per l’agenda digitale.
Molto ci sarebbe da dire nei dettagli, ma quel che conta di più è poter contare su un rapido sì del Parlamento. I dibattiti astiosi sulle colpe del passato lasciano il tempo che trovano. Sono tra coloro che hanno indicato la necessità di una procedura diversa per l’ascolto pubblico preventivo alla realizzazione di opere infrastrutturali. Insieme ad associazioni bipartisan come la Fondazione Res Publica o la Astrid guidata da Franco Bassanini, da anni abbiamo indicato l’esempio francese. Senza tempi certi di realizzazione e senza ritorni precisi sul capitale e sulle modalità di copertura degli oneri – tra tariffe amministrate, prezzi di mercato e apporti pubblici a ritorno differito – l’Italia non è in grado né di attirare i capitali privati necessari a sanare il suo gap infrastrutturale, né di placare – a finanza pubblica commissariata – la fame di opere aggiuntive che ogni comunità tenta di incardinare su un progetto nazionale. L’essenziale, ora, è non perdere il passo della svolta in corso, e di non limitarsi alle intenzioni, pensando magari che alle prossime elezioni un nuovo governo butterà di nuovo tutto via.