Giannino: «Il vero dilemma non riguarda Monti ma la tenuta dell’euro»
Ai mercati non importa nulla del nome e cognome del premier italiano: valeva per Berlusconi, vale ora per Monti. E’ questo il ragionamento di Oscar Giannino, intervenuto questa mattina a Radio Tempi, che non risparmia critiche ai responsabili dell’attuale crisi finanziaria, che si trovano «ai piani alti dell’Europa». L’economista ritiene che la domanda fondamentale da farsi non riguardi Mario Monti ma l’euro. E sulla nuova politica di Unicredit: «La posizione assunta dai vertici della banca è una vera e propria svolta».
Il fattore caimano non c’è stato, le Borse continuano a scendere e lo spread aumenta. Che cosa occorre per invertire le tendenze dei mercati finanziari?
I mercati ormai non si affidano ai semplici nomi e cognomi del presidente del Consiglio. I mercati hanno bisogno di capire tre cose. Primo: la squadra di governo. Secondo: che cosa dirà Mario Monti al Parlamento su quello che intende fare. C’è molto fumo e presunzione da parte dei media nel dire cosa farà Mario Monti, la verità è che non lo sappiamo. Terzo in ordine cronologico ma primo in ordine di importanza: quale sostegno le forze politiche daranno al nuovo governo. Si capirà abbastanza presto se è un governo destinato a durare un anno e mezzo. Questo terzo elemento è il più significativo per i mercati. L’appuntamento per saperne di più, dunque, è per i primi due o tre giorni della settimana prossima.
Quanto dovremo attendere per vedere lo spread a livelli meno pericolosi per l’Italia?
Il deterioramento dell’area Euro è complessivo e riguarda i piani alti dell’Europa. Nel prossimo anno si voterà in Francia e in Germania. Per questa ragione ritengo molto difficile che i tedeschi e i francesi assumano quelle decisioni che farebbero cambiare passo alla crisi europea. Tre sono le azioni determinanti per uscire dall’attuale situazione: prima di tutto ci vuole un’unione più politica; è poi importante muoversi nel mercato con strumenti finanziari adeguati in grado di sostenere nel medio-lungo periodo i paesi in difficoltà; infine, occorre modificare lo statuto della Bce. Queste tre azioni non se le aspetta nessuno ma dobbiamo essere consapevoli che questo immobilismo favorisce un deterioramento complessivo. Gli spread, quindi, non possono tornare a 190 punti base com’erano a giugno. Al massimo possiamo assistere ad un miglioramento di 100-150 punti base. Il vero e grande dilemma, che sarà il vero problema del 2012, è sintetizzabile con una domanda: l’Euro potrà tenere?
Ascolta l’intervista a Oscar Giannino
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Unicredit ha approvato un aumento di capitale di 7,5 miliardi di euro, secondo il volere dell’Eba a fronte di una svalutazione dell’attivo di oltre 10 miliardi. Cosa ne pensa della scelta degli amministratori di piazza Cordusio?
La posizione assunta dai vertici di Unicredit è una vera e propria svolta perché la decisione più rilevante non è tanto l’ammontare del terzo aumento di capitale di Unicredit dall’inizio della crisi, quanto la decisione concomitante di abbattere per 10 miliardi (due terzi della capitalizzazione) l’avviamento. Ritengo questa decisione più rilevante agli occhi dei mercati internazionali perché l’abbattimento dei goodwill in una misura così radicale rappresenta una svolta rispetto ai valori contabili nei bilanci delle banche. Con questi valori si sono realizzate per quindici anni tutte le fusioni che hanno cambiato notevolmente le coordinate del sistema bancario italiano rispetto a quando avevamo le banche pubbliche. Non solo le grandi banche devono procedere con queste svalutazioni: ci sono grandi imprese come la Telecom che devono procedere in questa direzione. Il fatto che Unicredit si sia decisa a svalutare è un messaggio a tutto il sistema bancario italiano. Se però dovesse passare questa linea, le ricapitalizzazioni alle quali dovremmo assistere sarebbero un multiplo rispetto ai 14,7 miliardi di Euro richiesti dal regolatore bancario europeo (Eba) e la situazione si aggraverebbe ulteriormente con delle conseguenze negative per le imprese e le famiglie bisognose di credito. Un altro problema per alcune banche sarebbe la cessione di alcuni asset. La stessa Unicredit è un soggetto interessante da questo punto di vista. Mi auguro che la Banca d’Italia da una parte e la politica dall’altra comprendano che la trasparenza è dovuta, ma che però chiede un prezzo pesante all’economia reale italiana.
Un’azione di Unicredit, ora che si accinge a ricapitalizzare, vale 0.7 euro: non potrebbe fare gola a tanti investitori esteri?
Ci vuole un ruolo attento da parte del regolatore che, negli anni pre-crisi, con la riforma del 2005, si è giustamente spogliato di quel potere amministrativo un po’ discrezionale sugli ingressi di nuovi soci nel capitale di banche e sugli incroci tra banca e industria. Da qualche anno a questa parte siamo in presenza di un fenomeno rispetto al quale i regolatori devono affinare i propri strumenti. La tutela delle poche grandi banche italiane deve essere esercitata con un occhio molto attento per l’economia reale italiana. Il regolatore deve stare con le antenne dritte, deve esercitare un’azione molto forte affiancando nel management i grandi gruppi bancari italiani. Se i tedeschi si candidassero ad acquisire gli asset nel centro Europa e in Germania di Unicredit, per il management di Unicredit sarebbe molto complicato giustificare agli azionisti chiamati a ricapitalizzare per la terza volta, e che continueranno a non vedere dividendi, un “no” di fronte a un’offerta succulenta. Per questo il regolatore deve affiancare il management delle banche italiane e stare attento a qualche potenziale scherzetto internazionale. La cura vera avviene se la politica riesce ad abbattere il rischio paese che nella provvista di capitale e obbligazionaria all’ingrosso delle banche viene totalmente incorporato. Significherebbe liberare le grandi banche italiane di un onere di 300 punti base che le ammazza, che ne pregiudica il margine d’interesse.
Twitter: @giardser
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