Ghisleri, sondaggista: «Nonostante tutto il Pdl tiene, il Pd non cresce»

Di Chiara Sirianni
28 Ottobre 2011
Alessandra Ghisleri, titolare di Euromedia Research, sondaggista di fiducia del premier, parla a Tempi.it: «La gente è disillusa, cerca un punto di riferimento solido. Dire "Berlusconi dimettiti" non porta voti, perché non porta benessere alle persone. Se si votasse oggi: centrosinistra al 40,7%, centrodestra al 37,5% e terzo polo all’11%»

Alessandra Ghisleri è nota non solo per essere la sondaggista di fiducia del premier, ma anche per lo sguardo obiettivo con cui, numeri alla mano, si approccia alla realtà. Laureata in geologia, inciampa nel mondo della ricerca per caso, lavorando in un call center durante l’università, per pagarsi le vacanze. È l’inizio di un percorso curioso e appassionato che la porta, nel 2003, a fondare un’agenzia di ricerche tutta sua, Euromedia Research, che sia alle politiche del 2006 che a quelle del 2008 azzecca tutte le previsioni: il testa a testa con l’Ulivo, poi il trionfo del Cavaliere, il boom della Lega, l’affermazione di Di Pietro sulla scena politica.

Oggi quali sono gli umori degli italiani?
«La disillusione. Nei momenti di crisi si cercano sempre dei punti di riferimento, e spesso i politici sembrano parlare una lingua molto distante da quella che è la quotidianità di ciascuno di noi. Ci sono delle regole che devono cambiare, ma a molti non è ancora chiaro l’obiettivo. Manca una traduzione chiara. Alle famiglie interessa cercare di risparmiare e quindi di mantenere un benessere, e di poterlo un giorno trasmettere ai figli. La percezione è che ci saranno maggiori difficoltà, il che crea un malinteso col mondo politico nel suo complesso. Non è passato il messaggio per cui se si legifera è per il bene di tutti, del Paese. E non si accusa di questo un partito in particolare. Si sente la mancanza di indicazioni pratiche che coinvolgano il pubblico e lo facciano sentire incluso nella soluzione. Ad esempio: in cosa conviene investire? Nel mattone o in titoli di stato? Inoltre, il terrorismo del fallimento crea in molti grande angoscia».

Gli scontri avvenuti durante la manifestazione degli indignati a Roma, hanno causato uno slittamento a destra dell’opinione pubblica?
«Direi di no: anche la rabbia si è sviluppata in maniera assolutamente trasversale. La gente ha percepito chiaramente la differenza tra manifestare pacificamente e la violenza priva di significato. L’indignazione era rivolta verso i vandali che hanno ferito la città, sia che l’intervistato fosse di destra, sia che fosse di sinistra».

E la lettera della Bce, con la conseguente manovra finanziaria, ha stravolto qualche equilibrio?
«Si è trattato di una sorta di primo avviso di fine estate. I cittadini avevano appena finito di pagare le tasse e avevano quindi ben presente il significato della parola sacrificio. In quella fase c’è stato sicuramente un abbassamento netto dell’interesse nella politica. D’altra parte, chiunque sia nel mondo del lavoro ha un conto nella banca sotto casa. La prima reazione è di recepire le indicazioni come suggerimenti importanti. Gli adattamenti sono venuti in seguito».

In nome della “buona politica” il Forum delle associazioni cattoliche ha organizzato a Todi un seminario a porte chiuse alla presenza del cardinal Angelo Bagnasco, presidente della Cei. La stampa ha calcato l’accento su un presunto ritorno della Democrazia cristiana: supponendo che sia vero, gli italiani ne sentono davvero il bisogno? E su quanti voti potrebbe contare un eventuale forza politica?
«C’è molta voglia di stabilità, economica e morale. E la gente tende a cercarla nel centro, che storicamente suggerisce questa idea. Noto un forte desiderio di avere punti di riferimento saldi, e la speranza che quelle forze diventino operative e fattive. Il bacino d’utenza è potenzialmente molto ampio: gli italiani che si definiscono cattolici sono il 60% del Paese, gli osservanti il 35%. E’ vero che la società è cambiata rapidamente, e che oggi l’azione religiosa non sempre è corrispondente a un’identità politica moderata: penso a Nichi Vendola, o alla Lega Nord. Ma certamente Casini ha dalla sua parte il valore dello scudo crociato, della sua storia e di quello che nel bene e nel male ha rappresentato la Democrazia cristiana. In questo momento, è un’eredità importante. Nell’area di centro sta il 40% del voto italiano».

Come si è trasformato, in questi anni, il profilo dell’elettorato Pdl?
«All’inizio è nato sull’onda di una scelta nuova, scommettendo su un imprenditore che stava entrando in politica, con la volontà di creare un nuovo grande partito nazionale. Molti elettori professano ancora il credo di Forza Italia. Ad essi si sono affiancati con gli anni pidiellini di nuova nascita. La tendenza è quella di riconoscere in un leader carismatico la capacità di poter cambiare il Paese. Credo che questi giorni siano quelli di un esame importante».

Il Pd ha un problema di ladership?
«Le sue spaccature interne generano non solo confusione, ma prese di posizione molto forti e differenti tra loro, che al momento stanno creando uno spostamento di voti dal Pd a Sel. O anche nell’Idv, in alcuni casi. Il dato è che nonostante tutto il Pdl tiene e che il Pd non cresce. La distanza tra politica ed elettori si crea su queste basi, quando la lite nasce non tanto per tutelare gli interessi dei cittadini, quanto per salvaguardare l’una o l’altra corrente interna al partito. Cose di cui la gente è scarsamente interessata: dire “Berlusconi dimettiti” non porta benessere nelle tasche. Invece si assiste inermi alle liti intestine, che creano una situazione di stallo, difficile da accettare. Non sembra che ci siano le premesse per un’alternativa largamente rappresentata».

Se domani le tre coalizioni si presentassero separatamente alle elezioni, cosa accadrebbe?
«Molto dipende dalla legge elettorale vigente. Nell’assetto attuale, considerando l’errore statistico, ci sarebbe un vantaggio, non incredibile, del centrosinistra: 40,7% contro il 37,5% del centrodestra. L’11% è rappresentato dal terzo polo. In mancanza di fatti, è molto probabile che il grande partito sarà quello dell’astensione».

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