Articolo tratto dal numero di Tempi in edicola (vai alla pagina degli abbonamenti) – Che malattia del cuore sta crescendo tra noi? La chiamerei ghigliottinismo. È un lascito del giustizialismo del tempo truce di Mani pulite, quando si godeva del male del prossimo. Ormai non c’è forza politica, ambiente umano che non siano contagiati dal ghigliottinismo.
Mi ha molto colpito il “no” senza eccezioni o quasi alla proposta di papa Francesco di accompagnare l’Anno Santo della Misericordia con un segno: un’amnistia. Il ministro dell’Interno, Angelino Alfano, per me irriconoscibile, ha bocciato il Papa come fosse un mentecatto fuori dal mondo. Ha detto: «Chi sbaglia ed è condannato in via definitiva in carcere ci sta fino all’ultimo giorno. E se le carceri non bastano ne costruiamo di nuove». Destra, sinistra e centro concordano, salvo eccezioni minime. Ci hanno invaso gli immigrati? No, ci ha invaso il contrario della pietas, che è l’empietà, l’hubris, il sostituirci al giudizio di Dio. Elenco tre casi di contagio ghigliottinesco di massa.
Giovanni Scattone è stato condannato per l’omicidio colposo di una studentessa universitaria, inerme e gentile, Marta Russo. Pena scontata. Si è scoperto che aveva vinto una cattedra di liceo. L’opinione pubblica lo ha costretto a mollare, come indegno di insegnare. Chi sentenzia su dignità e indegnità? Se si dovesse stabilire chi è degno di insegnare in base a errori noti o sconosciuti, e ci fosse onestà verso se stessi, verrebbe da ripetere la frase che mette in fuga i lapidatori di ogni tempo: chi è a posto, scagli la prima pietra contro Scattone. Non è il caso però di rifare l’esperimento. Oggi non esiste il senso del peccato proprio, ma solo di quello altrui: e Scattone sarebbe seppellito di sassi. È chiaro che è una vendetta extragiudiziale, non c’entra l’amore al bene degli studenti, ma il trovare qualcuno più in basso per salirci sopra e sentirci migliori. Ghigliottinismo.
Martina Levato e suo figlio Achille. Martina è quella ragazza che insieme al suo amante ha tirato dell’acido muriatico a uno, due, forse più ex fidanzati, sfregiando a tradimento le proprie vittime. È in carcere, dove ha partorito il figlio Achille, concepito con il complice. Secondo Boris, non possono essere i giudici, e soprattutto la vox populi, a separare per sempre madre e figlio. Se c’è pericolo immediato e concreto per il piccolo, sì. Ma qui si è alzata un’altra voce, che è quella della vendetta: essa impone una pena extra-codice, e non importa se colpisce un bambino, perché è figlio di una strega, i geni di Achille vanno coltivati lontano da Martina e dai suoi incantesimi malvagi. La pena aggiuntiva è la negazione dell’essenza di una donna: l’essere madre. Il mondo è passato, anche nei sentimenti, dal tifo per Antigone a quello per Creonte.
Siamo ai Casamonica. Vera e Vittorino sono liberi e – mi risulta – incensurati. Ma hanno un reato di sangue anzi nel sangue: sono “i” Casamonica, roba infetta, per cui si vuole togliere loro il diritto di parola, il diritto del giornalista Bruno Vespa di fare cronaca e intervistarli a Porta a porta, e il nostro di ascoltarli. Non sono persone, appartenenti alla razza umana, ma zingari sinti Casamonica. Domanda: chi dà il diritto di togliere diritti alla ghenga di presunti puri? È il ghigliottinismo, malattia che ha un esito spesso strano, sin dai tempi di Robespierre: chi di ghigliottina ferisce, di ghigliottina perisce.
Un gesto di misericordia, come quello che ha chiesto Francesco, purificherebbe Boris e l’Italia. Lo diceva già Manzoni con la bocca di Lucia: «Dio perdona molte cose per un’opera di misericordia». Ma noi non abbiamo nulla da farci perdonare, vero? O forse sì…
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