Cominciai a seguire la vicenda mani pulite nella maniera più scomoda possibile, avendo io fatto una carriera giornalistica al contrario: dapprima all’Unità, poi a Repubblica e ancora, per complicati motivi, e giusto in corrispondenza con la nascita di Mani pulite, all’Avanti!. E dire che non ero neppure particolarmente socialista.
Di Pietro, quel magistrato amico di Pillitteri Ricordo bene, a pochi mesi dall’inizio di Mani Pulite, lo sciopero di magistrati del dicembre 1991. Mi dissero: “Vai a intervistare il tal magistrato, un nostro amico”: era uno tra i pochissimi che non aveva aderito allo sciopero. Incontrai cosi’ questo magistrato “amico” (nell’accezione da prima repubblica e probabilmente anche da seconda) che apparteneva al giro d’amicizie dell’allora sindaco di Milano Paolo Pillitteri. Insomma: mi ritrovai davanti Antonio Di Pietro. Questo nel dicembre 1991. Poco più tardi, nel febbraio 1992, mi ritrovai invece ad essere il disgraziato che dovette scrivere, sull’Avanti!, che avevano arrestato un certo Mario Chiesa: mi concessero 17 righe. Cominciai cosi’ a seguire l’inchiesta Mani Pulite anche se dapprima in con certa moderazione, perche’ c’era anche un’altra mia collega. Ma quest’ultima si fece pero’ progressivamente riluttante anche perche’ a Palazzo di Giustizia s’era creato un clima, ormai, che non giustificava più quella sorta di consolidata solidarietà che spesso si crea all’interno delle professioni: o non la giustificava piu’, quantomeno, nei confronti di un giornale come l’Avanti!. Perche’ e’ ormai noto che nel 1992 non ci fu semplicemente un’inchiesta, ma l’inizio di una guerra civile. Dunque anche i giornalisti, alcuni in particolare, pensarono che prender parte al grande processo etico di pulizia fosse un loro dovere, un’occasione: in sostanza divennero – e lo scrissero – una sorta di “redazione giudiziaria unificata” che si ritrovava per svolgere una funzione da collo di bottiglia rispetto alle poche informazioni che si decideva dovessero filtrare dalla Procura, per giungere infine all’opinione pubblica. Per certi aspetti, e spiace dirlo, una sorta grande velina. Io non facevo obiettivamente parte di questo pool, ma non solo o non tanto perché avessi deciso eroicamente di non aderire: semplicemente perché non avrei potuto prendervi parte neppure se l’avessi voluto. Io scrivevo sull’Avanti!, il giornale del partito dei ladri.
La banda dei quattro. Ovvero giornalisti in feluca ed elmetto Il sistema dell’informazione, da allora, prese a funzionanare più o meno così: laddove esisteva una consueta concorrenza tra testate (secondo la quale il cronista, di norma, cerca di fottere i colleghi e di ottenere esclusive e di tirar “buchi” ai concorrenti) fu piuttosto inaugurata una sorta di tregua: se cerchiamo di farci concorrenza a vicenda – fu il ragionamento – c’è il rischio che l’informazione non giunga in maniera uniforme all’opinione pubblica e che i giornali tendano a minimizzare le notizie pubblicate dai concorrenti; dunque organizziamoci e distribuiamoci, ognuno faccia una parte, dopodiché ci si ritrovera’ in serata (3 o 4 giornalisti in particolare) per una distribuzione equa e uniforme delle notizie e dei famosi verbali, coi vari nomi destinati alla pubblica gogna. Con le dovute eccezioni, questa fu la regola.
Chi compariva nei verbali, si ricordera’, era probabilmente destinato a prossimi guai giudiziari. E il fatto che venissero distribuiti determinati verbali e non altri – e ormai penso lo possa dire: non c’era verbale che poteva uscire, se i magistrati non lo volevano – introduceva un’ulteriore fattore di discriminazione. Ma il punto non e’ solo che certi personaggi venivano sputtanati e altri no: continuo a ritenere, ad oggi, che il cosiddetto pool dei giornalisti facesse parte, di fatto, chi consciamente chi meno, del meccanismo istruttorio di Mani pulite.
Le carte dell’inchiesta erano e rimangono infinite. Un aspetto quantomeno interessante è che a tutt’oggi risulta impossibile consultarle, essendo quello di Mani pulite un fascicolo unico. Ecco, il fatto che, allora, determinate carte venissero fatte circolare o meno, secondo me, e mi rendo conto che l’accusa sia forte, fu di fatto mirato a fini prettamente istruttori: per questo dico che i giornalisti fecero parte dell’inchiesta. Loro compito non era tanto quello di informare, bensì – per loro stessa ammissione – di proteggere, aiutare, promuovere una rivoluzione. Attraverso i verbali si creava uno scientifico effetto domino che vedeva decine di persone, quelle che avessero letto il proprio nome sui giornali, accorrere in Procura come per chiamata a mezzo stampa: e dal loro punto di vista, per accelerare i tempi e scongiurare un eventuale arresto, accorrevano eccome. Altri erano destinati all’oblio o, viceversa, alla galera. Devo ammettere che anch’io pubblicai i miei bravi verbali dalle colonne del mio giornaletto, e condivisi anch’io quell’ottica tragicamente divertente che prevedeva il procurarsi appunto delle carte che potevano, come supremo risultato, mettere nei guai Tizio o Caio che non risultassero simpatici a me o alla fazione che direttamente o indirettamente rappresentavo. Ogni volta ricordo quando pubblicai uno stralcio di verbali, diciamo, non autorizzati: dapprima non accadde nulla, allora li ripubblicai e alcuni colleghi mi dissero: “Quei verbali sono falsi, sono patacche”, allora li pubblicai una terza volta ed ecco, uno dei tizi nominati nel verbale ando’ dal magistrato per chiedere spiegazioni. Risultato: venne inquisito. Era, peraltro, un cugino di Gherardo Colombo. E ancor’oggi non posso non chiedermi: che cosa sarebbe successo se io non avessi pubblicato quei verbali? Che diversa sorte, che altro percorso giudiziario avrebbe seguito quel signore? Ora ci mostrate tutte le carte dell’inchiesta? Da allora continuo a pensare (a proposito di eventuali commissioni parlamentari d’inchiesta) che la ricostruzione di un periodo come quello che abbiamo vissuto dovrebbe quantomeno prevedere una consultazione degli atti processuali nella loro interezza: semplicemente e finalmente. Mi chiedo quando potremo finalmente vederla tutta, questa inchiesta mani pulite. E mi chiedo: quando potremo avere accesso agli atti? Quando potro’, io giornalista, consultare tutte le carte e capire ad esempio per quale ragione alcuni nomi siano comparsi, sui giornali, e altri, apparentemente, scomparsi? E capire che percorso istruttorio abbiano seguito? Se la la galera o l’anonimato? Capire in base a che meccanismo altri abbiano potuto fruire di patteggiamenti e accordi e discrezionalità varie? Di alcuni non si e’ piu’ saputo nulla. Ogni tanto mi sovviene qualche nome, gente inquisita nel 1992 e giudicata subito, nell’ottobre 1992, e poi altra inquisita nel 1992 col processo che magari deve ancora incominciare.
Possibile che non sia permesso consultare le carte di un’inchiesta che e’ gia’ studiata nelle scuole? Non pretendo che debba vederle in particolare io, ma qualcuno dovrà pur farlo. Dovremmo forse accontentarci dei dati che annualmente, quando va bene, elargisce il procuratore Gerardo D’Ambrosio? Dati estrapolati non si sa bene come e dove, offerti alla stampa in occasione di un qualche compleanno di Mani pulite? Accontentarci che generici bilanci tipo “l’inchiesta è al punto x, ci sono stati y indagati, z assolti, numero tot di non luoghi a procedere”? Il punto non è tanto dire “non ci credo” (e sarei comunque liberissimo di farlo, a questo punto) bensi’ il capire, ad esempio, secondo quale criterio qualche centinaio di persone abbiano beneficiato del cosiddetto non luogo a procedere: per quanto ne so, potrebbero tutti equivalere ad assoluzioni o a prescrizioni. E non e’ la stessa cosa. Decisamente. Voglio sapere quali e quante, tra queste centinaia di persone, siano finite in galera, voglio vedere cosa scrissero i miei colleghi giornalisti mentre queste persone erano appunto in galera mentre io, nello stesso periodo, figuravo come quello che scriveva sul giornale dei ladri. Perche’ accorgersi ora, nel 2000, che spesso le cose non funzionarono nella maniera giusta – e dunque scoprire che allora, forse si’, in qualche caso io e altri avevamo ragione – e’ cosa in se’ pietosamente insoddisfacente. Penso che solo allora potremo spiegare davvero che cosa sia stata Mani pulite, e a che punto da vero si sia con Mani pulite o Tangentopoli che dir si voglia, e se veramente si sia usciti da una fase assurda: oppure, piu’ semplicemente, se ci si sia semplicemente assuefatti perche’ si e’ comunque raffreddato quel clima incredibile vissuto soprattutto dal 1992 al 1993. L’inchiesta Mani pulite – sono i magistrati a insegnarcelo – in fondo corrisponde a una somma di carte, di pratiche: anche se purtroppo corrispondenti al destino di tanti esseri umani. Colpevoli e innocenti. E’ la giustizia, d’accordo. Ma io voglio sapere esattamente come sia andata. Voglio esser libero di poter capire e questo con strumenti che non siano solo le mie impressioni o le poche pezze d’appoggio fornite dalla procura. Voglio poter valutare se l’inchiesta Mani pulite sia stata utile, inutile, dannosa o nella sostanza una patacca. Dunque rinnovo la mia richiesta: fateci vedere le carte, per favore.