Francia. Il governo conferma il limite massimo di 30 persone a Messa
«Collera, disappunto, rabbia, sorpresa». Non hanno lesinato sui vocaboli abrasivi i vescovi francesi per protestare contro «il limite incomprensibile, irrealistico, inapplicabile e irrispettoso dei cattolici» stabilito dal governo di Emmanuel Macron per la ripresa della celebrazione pubblica del culto in chiesa a partire da domenica: 30 persone al massimo per Messa, che si tratti di una grande basilica della capitale o di una piccola chiesetta di paese.
LA RABBIA DEI VESCOVI
L’annuncio di Macron martedì ha fatto infuriare Conferenza episcopale cattolica, protestanti e ortodossi. Il presidente dei vescovi, monsignor Eric de Moulins-Beaufort, ha chiesto di rivedere la decisione soprattutto perché non conforme a quanto condiviso dalla Chiesa con i tecnici governativi durante i colloqui delle scorse settimane. Questi colloqui si sono svolti su ordine del Consiglio di Stato, che dopo aver respinto per ragioni sanitarie la domanda dei cattolici di permettere la celebrazione pubblica del culto durante il lockdown, aveva però sollecitato il dialogo.
Il protocollo sanitario proposto dalla Conferenza episcopale prevede che possa essere sfruttato un terzo della capacità delle chiese e che ogni fedele abbia uno spazio attorno di 4 metri quadrati. In questo modo in ogni chiesa del paese, a prescindere dalla capienza e dall’affluenza, la prevenzione del contagio sarebbe garantita. Nonostante i tecnici sembrassero d’accordo, martedì è arrivata la doccia fredda, seguita a stretto giro dalla denuncia dei vescovi: «I cattolici sono coscienti dei rischi sanitari e sono in grado di dimostrare una totale responsabilità nell’applicazione delle regole di protezione. Le misure annunciate invece sembrano ignorare questo senso di responsabilità».
Nonostante la protesta, il premier francese Jean Castex ha mantenuto il limite delle 30 persone, una decisione che dimostra come il governo «consideri come accessoria la fede di milioni di credenti», hanno ribadito i vescovi che pensano di presentare un nuovo ricorso legale. I semplici fedeli invece sono sul piede di guerra e intendono moltiplicare le iniziative davanti alle chiese per chiedere che vengano rimosse le restrizioni alla libertà di culto.
LA DEPRESSIONE DEI SACERDOTI FRANCESI
Il mancato riconoscimento dell’importanza della fede da parte del governo è rivelatorio di un clima in Francia che ha serie ripercussioni anche sulla vita dei sacerdoti. Uno studio senza precedenti commissionato all’Union Saint Martin da parte della Chiesa cattolica ha infatti mostrato che su 6.400 preti diocesani di età inferiore ai 75 anni, il 20 per cento presenta sintomi depressivi. Circa il 7 per cento presenta uno stato di sfinimento professionale, mentre il 2 per cento è affetto da esaurimento grave.
Lo studio è stato commissionato dopo il suicidio ad agosto di due sacerdoti, che ha scioccato la comunità. In base al rapporto, ancora, molti preti hanno problemi di obesità, alcuni di alcolismo, la metà di essi vive in solitudine e per questo non cura l’aspetto fisico. Inoltre, il 20 per cento dei ministri ritiene il proprio carico di lavoro troppo pesante e il 40 per cento non vi trova alcuna soddisfazione personale. «Questi numeri sono giganteschi», ha commentato al Figaro lo psicologo e sacerdote Patrice Gourrier: «La depressione è la conseguenza della perdita del senso del ministero del sacerdote. I preti non sono accompagnati. Essere sacerdote oggi è estremamente difficile. Mancano i punti di riferimenti e pesa la cacofonia ecclesiale. Oggi la Chiesa cattolica è profondamente divisa e molti fanno fatica con la gerarchia. C’è un problema a livello di formazione spirituale, soprattutto in Occidente. Quando un prete è solo, la sua vita spirituale è in pericolo. Il legame tra i sacerdoti e i fedeli è più debole oggi e i preti sono diventati semplici “esecutori di un servizio”».
Foto Ansa
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