La forzatura sui sentimenti delle Reactions di Facebook
Non stupisce che Facebook abbia introdotto un differente tipo di “I like”, i cosiddetti “hug bottons” sono ora cliccabili anche nella rete italiana. Gli esperti dicono che le implementazioni che avvengono sui grandi circuiti network rispecchino il desiderio della maggior parte degli utenti. Mark Zuckerberg infatti vi rifletteva già da molto tempo e dichiarò di non volere creare un tasto “dislike”, contrario alla trasformazione della piattaforma in un forum in cui le persone votano in modo positivo o negativo. E così il fondatore, scrutando il desiderio della digital community dichiarava: «Le persone non stanno cercando la possibilità di “downvote” i post di altre persone, quello che davvero vogliono è la possibilità di esprimere empatia». Le emozioni, capaci di durare a lungo, paiono essere meno compromettenti di un giudizio.
[pubblicita_articolo allineam=”destra”]La nuova implementazione ha richiesto mesi di studio approfonditi e come ha commentato Sammi Krug, project manager di Facebook, sono stati necessari numerosi fucus group e interviste per capire quali tipi di reazioni gli utenti privilegiano maggiormente. La nuova implementazione infatti si chiama “Reactions”. Essa non implica necessariamente in primo acchito un giudizio sul post, un pollice alzato o abbassato, ma è indice di una re-azione. Si viene quindi a creare la cultura dell’ammiccamento, ove però l’identità è decisa dal sistema (si pensi alle bandiere dipinte sui volti gentilmente “suggerite” innanzi ai cataclismi). Facebook è la piattaforma in cui si può simpatizzare senza esporsi troppo, si può essere amico ma non del tutto. Se essa nasceva – o così è quello che si vuol far credere –, certamente alla luce del gran profitto ma in fondo in modo innocuo dallo spirito giovane di una manciata di ragazzi, per condividere battute e foto con gli amici storici, per pedinare l’ex fidanzata e sorvegliare la nuova, oggi è divenuto il canale di diffusione di informazione prioritario cui ricorrono personaggi dello spettacolo, intellettuali e politici. Poi si aggiunga tutta la pubblicità: aziende, piccole e medie imprese, scuole, università. La grande rete convoglia oramai tutto e tutti, non portando poca esasperazione al mercato editoriale o a chi ancora ama conversare al telefono. Anche il mercato del lavoro naviga. Non mancano infatti testimonianze di persone che hanno ricevuto riscontro all’invio del proprio cv, inviato come prassi aziendale voleva, sul grande portale, corredato di tanto di emoticon e bandierina. Sulla nuova implementazione occorre però riflettere, fare una pausa, un momento di silenzio: essa non è casuale, va a toccare il profondo di ciascuno di noi. Mentre prima non vi era nessun rischio nel postare una fotografia, ora si può essere sbeffeggiati o addirittura odiati. E viceversa si innescherà il concorso all’amore, quello vero. Il record da raggiungere, l’affetto di tanti cuoricini.
Ma forse che l’utente ha qualcosa da temere? Egli si trova nel mezzo dello scorrere frenetico dei post: finito di leggerne uno ecco comparirne subito un altro, in cima alla pagina, a indicare che in quella tratta temporale ha già perso un centinaio di informazioni che per sua salvezza potrà però recuperare nel blogroll della community. Ma tale mitragliamento di informazioni, grazie alle Reactions d’ora innanzi non sarà più neutro, ma completamente colorato, colori ed emozioni vanno a braccetto.
La forzatura sui sentimenti e le emozioni, su ciò che in fondo corrisponde a ciò che è di più interiore in ciascun essere umano, non è però casuale. La manovra della grande rete è chiara: passare dalla democrazia al conflitto. Una manovra che vediamo in atto più che mai in Europa con l’indebolimento della famiglia quale base della società, e nell’ideazione e dunque introduzione di differenti realtà che per definizione sono “conflittuali”. Ancora una volta si vede vacillare il demos europeo, ma in effetti, dobbiamo riconoscerlo, questo business digitale è intriso di quella mentalità che proviene da oltreoceano che rischia sempre più di sostituire all’Occidente ciò che è occidentale, per cui è conveniente offrire la possibilità di ridere, rattristarsi o arrabbiarsi, di re-agire: ciò che importa è il “volemmose bene” della community, una democrazia del tutto emozionale e pertanto incredibilmente debole, una base precaria su cui costruire il futuro. Liberi di arrabbiarsi, ma non di dire di no al sistema. Speriamo il “mood” resti positivo. E ora, pollici alzati, anzi meglio: lovvate, lovvate, lovvate.
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