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Finmeccanica, arrestato Orsi. Sicuri di sapere tutto? La controinchiesta di Tempi

Oggi l'arresto del presidente. Oggi l'annuncio che il mercato indiano potrà arrivare a valere 75 miliardi di dollari entro il 2020. Sicuri di sapere tutto sul caso Finmeccanica?

Redazione
12/02/2013 - 11:13
Interni
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Questa mattina è stato arrestato il presidente di Finmeccanica Giuseppe Orsi. L’accusa è di corruzione internazionale, peculato e concussione. L’ordinanza reca la firma del Gip di Busto Arsizio. L’amministratore di Agusta Westland, Bruno Spagnolini, è ai domiciliari. Sono stati arrestati anche due cittadini svizzeri, Guido Haschke e il suo socio Carlo Gerosa, che intermediarono nell’affare con Finmeccanica. Secondo l’accusa, fu pagata una tangente da 51 milioni di euro al governo indiano per la vendita di 12 elicotteri.
Questa mattina sul Sole 24 Ore appare un articolo intitolato “Le imprese italiane in prima fila nella Difesa indiana” in cui si racconta della grande capacità da parte dell’Italia, grazie a Finmeccanica, di “conquistare” il mercato indiano e delle prospettive positive per il nostro paese in questo settore. «Quello indiano è ormai il nostro primo mercato al di fuori di italia, Regno Unito e Stati uniti, che noi consideriamo “domestici”», dice al Sole Massimo Pugnali, senior vice president per market e business development di Finmeccanica. Secondo un grafico pubblicato dal Sole, si stima che nei prossimi anni il settore della Difesa indiano potrà arrivare a valere 75 miliardi di dollari entro il 2020.

Tempi si è occupato della vicenda Finmeccanica in diversi articoli. Di seguito pubblichiamo l’inchiesta di Rodolfo Casadei, apparsa sul settimanale nel novembre 2012.

Attacco a Finmeccanica (a vantaggio dei francesi)
Indagine sull’autolesionismo italiano che minaccia il cuore industriale del paese. Grazie a procure e quotidiani, rischiamo di perdere un affare da 5 miliardi. La controinchiesta di Tempi

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Ce l’avevano quasi fatta. Alla fine di giugno era toccato al ministro della Difesa Giampaolo Di Paola scendere a Brasilia per riannodare i fili del discorso col suo omologo brasiliano, Celso Amorim. E che discorso: in ballo c’era la gara per fornire alla marina brasiliana cinque cacciatorpediniere/fregate lanciamissili da 6.000 tonnellate, altrettante corvette/pattugliatori da 1.800 tonnellate e una grande nave rifornitrice. Un programma che non riguarda solo la realizzazione delle navi ma anche gli allestimenti, l’elettronica e gli armamenti. Una commessa da 5 miliardi di euro che fa gola anche a francesi, tedeschi, britannici, spagnoli, sudcoreani, eccetera. Negli stessi giorni anche l’amministratore delegato di Fincantieri Giuseppe Bono, l’azienda predestinata a costruire le navi in caso di vittoria dell’offerta italiana, era nel paese sudamericano a ritessere la tela con funzionari del ministero della Difesa brasiliano, in particolare con l’ex presidente del Partito dei lavoratori (quello del presidente Dilma Rousseff e del suo predecessore Lula) Josè Genoino. Poi il 18-20 settembre è stata la volta di Corrado Passera, il ministro dell’Industria, di recarsi in Brasile ufficialmente per trattare accordi industriali a largo raggio, ma senza perdere di vista l’obiettivo numero uno di restaurare il primato italiano nell’operazione corvette e cacciatorpediniere.

Le cose sembravano rimettersi per il meglio quando… patatrac! Il 23-24 ottobre arrivano sui quotidiani verbali di interrogatori rilasciati ai Pm di Napoli quasi un anno prima (novembre 2011) da Lorenzo Borgogni, ex responsabile delle Relazioni istituzionali di Finmeccanica, indagato sin dall’inizio del 2011 con accuse di frode fiscale e finanziamento illecito ai partiti. Già ad aprile di quest’anno erano trapelate dichiarazioni pirotecniche da sue deposizioni. Borgogni aveva accusato il da poco presidente di Finmeccanica Giuseppe Orsi di aver ricevuto sei auto Maserati da aziende fornitrici della società e Comunione e Liberazione di essere destinataria di dazioni di denaro. Stavolta all’ex dirigente di Finmeccanica è attribuita la denuncia di una tangente di ben 550 milioni di euro (sarebbe una delle più grosse di tutta la storia mondiale delle commesse militari) sull’affare delle famose fregate di Fincantieri da vendere al Brasile, e il coinvolgimento dell’ex ministro dello Sviluppo economico Claudio Scajola, indicato come colui che avrebbe sollecitato la dazione di denaro, pari all’11 per cento del valore della transazione. Il nome di Scajola è accompagnato da altri, italiani e brasiliani, fra i quali spicca quello dell’ex ministro della Difesa brasiliano Nelson Jobim.

L’affare, che sarebbe la salvezza per una Fincantieri in difficoltà e un successo di portata storica per l’industria della difesa italiana, torna in alto mare. Forse definitivamente. Qualcuno avverte un senso di dejà vu. Sulla Stampa esce uno strano articolo incentrato su dichiarazioni di “collaboratori di Jobim”, i quali non si limitano a smentire di essere coinvolti in storie di tangenti, ma ironizzano sull’apparente autolesionismo italiano, asserendo che il contratto «era praticamente cosa fatta, mentre ora il vostro paese può attendere il 2040 per chiudere un affare che, invece, ora appare oramai quasi chiuso a vantaggio della Francia».

La Francia, già, la Francia… È da anni che va avanti il braccio di ferro fra italiani e francesi per la faraonica commessa della marina brasiliana. Di qua Fincantieri e Finmeccanica, di là la Dcns. I primi sembrano essere avvantaggiati per i prezzi migliori a parità di qualità. Finché nel marzo 2007 succede una strana cosa: Cesare Battisti, terrorista latitante dal 2004 fuggito dalla Francia dove viveva da molti anni alla vigilia della sentenza del Consiglio di Stato francese che lo avrebbe dichiarato estradabile in Italia, riappare in pubblico sulla spiaggia di Copacabana a Rio de Janeiro e viene arrestato. Chiede asilo politico e gli viene concesso il 13 gennaio 2009, contro il parere del Comitato nazionale per i rifugiati. Scende il gelo nei rapporti fra Italia e Brasile, e la trattativa per le fregate si arena. Provvidenzialmente per i francesi. Ma l’Italia non demorde: nell’aprile 2010, mentre pendono i vari ricorsi sul destino di Battisti, a Washington Lula e Berlusconi firmano un accordo di partnership strategica che prevede che alcune delle navi della famosa commessa vengano costruite in Brasile, a giugno scende a Brasilia il sottosegretario alla Difesa Guido Crosetto per un altro accordo firmato col ministro Amorim sempre relativo alle navi da costruire e tecnologie da trasferire. Ma il 31 dicembre dello stesso anno Lula rifiuta di firmare l’estradizione del terrorista, e i rapporti fra Italia e Brasile tornano in crisi.

La campagna della stampa
Insomma, in questa storia infinita della grande gara per l’ammodernamento della marina militare brasiliana succede sempre qualcosa che manda all’aria la trattativa con l’Italia, il paese che attraverso Fincantieri e Finmeccanica fa l’offerta migliore, e che rilancia le quotazioni della Francia, benché i servizi della Dcns, il campione nazionale, appaiano generalmente più costosi. Magari c’entra qualcosa il fatto che a fondarla sia stato il cardinal Richelieu nel lontano 1631. Magari c’entra la tendenza italiana all’autolesionismo.

Finmeccanica è il secondo gruppo industriale italiano, il primo per contenuti di alta tecnologia. In Europa rappresenta il terzo più grande attore per fatturato del settore difesa. Nel 2005 aveva vinto la gara per la fornitura dell’elicottero presidenziale negli Stati Uniti, risultato poi annullato da Barack Obama nel 2009. L’anno scorso per la prima volta dopo anni il gruppo ha risentito della crisi e ha segnato ricavi inferiori all’anno precedente, attestandosi a 17,3 miliardi di euro, e un bilancio in perdita per 2,3 miliardi di euro. Nonostante le raffiche di inchieste giudiziarie che hanno continuato ad affliggerlo, le dimissioni del vecchio presidente e amministratore delegato (Pierfrancesco Guarguaglini, sostituito da Giuseppe Orsi prima come ad dal 4 maggio 2011 e poi come presidente dal successivo 1 dicembre), arresti di dirigenti, ex dirigenti o collaboratori, la perdurante crisi economica generale e i tagli nei bilanci per la difesa dei tre mercati di riferimento (Italia, Regno Unito e Stati Uniti), quest’anno il gruppo chiuderà prevedibilmente con la stessa cifra di ricavi dell’anno scorso, ma con un risultato operativo per 1,1 miliardi di euro. Dall’inizio dell’anno il gruppo ha guadagnato il 30 per cento in Borsa. Finmeccanica si presenterà insieme all’americana Northrop alla nuova gara, tutta obamiana, per il nuovo elicottero presidenziale, e molto probabilmente la rivincerà. Ha firmato con Israele un contratto per la fornitura di 30 aerei da addestramento. Ha vinto quest’anno due contratti Nato per sistemi di sicurezza informatici e per sistemi di sorveglianza aria-terra. Ha venduto 10 C 27J (aerei da trasporto tattici) all’Australia. Insomma, la cura Orsi sta facendo effetto. Eppure non passa giorno senza che qualche partito o qualche grande giornale non chiedano al governo Monti l’azzeramento dei vertici di Finmeccanica. Se l’esecutivo seguisse le indicazioni di editorialisti e Di Pietro vari, Finmeccanica diventerebbe l’unico grande gruppo mondiale della difesa e dell’aerospazio che in diciotto mesi cambia tre volte i suoi vertici: roba da barzelletta, da harakiri sui mercati mondiali.

Quello dei manager e capitani d’industria della difesa tecnologicamente avanzata e dell’aerospazio è un mondo altamente selettivo, un club chiuso dove viene ammesso solo chi padroneggia perfettamente la materia, dalle conoscenze ingegneristiche alle logiche industriali. Eppure sul giornale della Confindustria, Il Sole 24 Ore, si possono leggere ipotesi stravaganti: «L’ambasciatore americano a Roma David Thorne potrebbe essere un ottimo presidente di Finmeccanica». Come se un esperto d’arte e brillante finanziere (questo è Thorne), per giunta forte portatore di interessi di un paese in cui hanno sede i principali competitor di Finmeccanica, potesse tranquillamente prendere il posto di un signore, Giuseppe Orsi, che da 40 anni opera nel settore dell’aeronautica e dell’aerospazio e che ha trasformato l’Agusta (di cui è stato direttore di marketing e ad) da produttore su licenza a uno dei più prestigiosi produttori in proprio mondiali e, dopo la fusione con Westland, nel fiore all’occhiello di Finmeccanica. Un ingegnere aeronautico cui la regina Elisabetta II ha conferito due anni fa l’onorificenza di “Comandante dell’Ordine dell’Impero Britannico”.

Certo, il problema è la gragnuola di inchieste giudiziarie piovuta in due anni e mezzo su Finmeccanica e dintorni. Che sembra dare diritto all’approssimazione informativa. Quando in aprile arriva sui giornali la prima ondata di accuse di Borgogni che coinvolgono anche Orsi, il Corriere della Sera titola “Sei Maserati in cambio di appalti”. In realtà la procura di Napoli ha già appurato che si tratta di una bufala, che le sei Maserati facevano parte del prezzo pattuito per l’acquisto da parte di Fiat di un elicottero AW 129, e che possono confermarlo Luca Cordero di Montezemolo e Sergio Marchionne, ma la notizia rimbalza per giorni nonostante l’immediata smentita di Finmeccanica. Nota bene: l’elicottero dell’Agusta va a sostituire un elicottero francese fino a quel momento utilizzato da Fiat. È simile la storia delle presunte consulenze di Finmeccanica all’ex moglie del ministro dell’Economia Vittorio Grilli: a settembre prima i quotidiani poi la trasmissione televisiva Servizio Pubblico danno la notizia che Orsi avrebbe dichiarato che era a conoscenza di consulenze assegnate dal gruppo alla signora; solo la pubblicazione quasi integrale di intercettazioni di un colloquio fra Orsi ed Ettore Gotti Tedeschi su Il Fatto del 5 novembre chiarirà che Orsi stava riferendo affermazioni fattegli da Alberto Nagel, l’ad di Mediobanca. Che un’attenta verifica dei contratti di consulenza dimostrerà non fondate.

Strane coincidenze
Quando si tratta di Finmeccanica, le stranezze si aggiungono alle stranezze: Orsi ha operato a livelli via via sempre più alti nel mondo dell’aeronautica e della difesa per 40 anni senza mai essere sfiorato da uno scandalo, ma questi improvvisamente si presentano quando diventa prima ad e poi presidente di Finmeccanica. E senza che nessuno faccia caso al particolare che Orsi viene accusato da un ex dirigente che lui ha di fatto costretto alle dimissioni per imputazioni per le quali poi lo stesso ha patteggiato. Massimo risalto alle accuse sulla presunta tangente da 10 milioni di euro che sarebbe stata pagata nell’affare dei 12 elicotteri venduti all’India nel 2010, quando Orsi era ancora ad di AgustaWestland, minimo risalto alle smentite indiane e alla conferma da parte indiana che la consegna della commessa andrà avanti come pattuito, coi primi elicotteri che dovrebbero essere consegnati nei prossimi due-tre mesi. Minimo risalto pure al fatto che nel passaggio dell’inchiesta da Napoli a Busto Arsizio Orsi non è più indagato per riciclaggio e finanziamento illecito ai partiti, ma solo per corruzione internazionale. Ma, così tanto per sapere, se agli indiani girassero troppo i cosiddetti e la gara vinta in India dall’AgustaWestland dovesse essere riaperta, chi è che potrebbe sperare di subentrare all’azienda del gruppo Finmeccanica? Beh, alla gara del 2010 partecipava Eurocopter, un’azienda che ha un fatturato di 5,4 miliardi di euro all’anno (Agusta arriva a 4 miliardi circa). E dove ha sede Eurocopter? Ha sede a Marignane, vicino a Marsiglia. Ma quante strane coincidenze.

@RodolfoCasadei

Tags: Agusta Westlandfinmeccanicagiuseppe orsi
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