Festival di Cannes, solita gara per soliti noti

Di Paola D'Antuono
28 Maggio 2012

Il Festival di Cannes ha decretato i suoi vincitori: il bellissimo film di Michael Haneke, Amour, ha vinto la Palma d’Oro, rispecchiando in  pieno le previsioni della vigilia. Diverso invece il discorso per Matteo Garrone, atteso alla seconda prova dopo il successo di Gomorra e che, molto a sorpresa, ha ricevuto lo stesso premio che la giuria gli aveva assegnato nel 2008, il Gran Premio della giuria per il suo Reality, film che in Italia vedremo solo a settembre. Carlos Reygadas, autore di Post Tenebras Lux, la pellicola più fischiata sulla Croisette, ha conquistato il Premio della regia, mentre l’impegnatissimo Ken Loach, grazie alle risate strappate con il suo The Angel’s Share, si è portato giustamente a casa il Premio della Giuria.

Il regista rumeno Cristian Mungiu ha inanellato una bella tripletta: suo il premio alla migliore sceneggiatura, per Beyond the Hills e le interpreti, Cristina Flutur e Cosmina Stratan, hanno vinto ex-aequo e a sorpresa la Palma come miglior attrice (era data per favorita Marion Cotillard, vista in Ruggine e Ossa di Jacques Audiard). Previsto e meritato il premio al migliore attore, andato a Mads Mikkelsen, protagonista di Jagten di Thomas Vinterberg. Entrambi i riconoscimenti, in verità, sono stati oscurati dalle dichiarazioni del presidente della giuria, Nanni Moretti, amatissimo in Francia: «Molti giurati avrebbero voluto premiare i protagonisti di Amour, Jean-Louis Trintignant ed Emmanuelle Riva, ma la Palma d’oro è incompatibile con gli altri premi».

Anche quest’anno il carrozzone francese si chiude, e dando un occhiata ai vincitori e ai vinti, balzano all’occhio una serie di curiose coincidenze: abbiamo già detto di Matteo Garrone che bissa il successo del 2008. Ci sarà lo zampino di Nanni Moretti? Chi lo sa, ma a dirla tutta, il giovane regista italiano non è certo l’unico vincitore seriale. Lo stesso Michael Haneke solo tre anni fa conquistava la Palma d’oro con lo struggente Il nastro bianco, mentre Cristian Mungiu deve piacere davvero tanto da queste parti visto che già nel 2007, al suo secondo film, si portava a casa la Palma d’oro con 4 mesi, 3 settimane e 2 giorni. Stesso discorso dicasi per Ken Loach, trionfatore sei anni fa con Il vento che accarezzava l’erba.

Come a dire, cambiano le edizioni, cambiano i film, cambiano i giurati, ma i registi più celebrati sono sempre gli stessi. E non che si un male, s’intende, ma i Festival nascono con la nobile vocazione di fare da cassa di risonanza per le pellicole nuove e originali, che necessitano di una spinta sul mercato mondiale. E invece, puntualmente, le opere di rottura, le trame preziose che non hanno a disposizione grandi nomi e importanti budget, ma che non hanno nulla da invidiare alle grosse produzioni, finiscono sotto l’ingombrante peso di un esercito di soliti noti, celebrati tra flash e red carpet senza fine. Il risultato, quindi, non può che essere uno: i grandi festival, come Cannes e Venezia, si allontanano sempre più dallo spettatore, percorrendo la retta e comoda via dell’autocelebrazione, mentre i piccoli festival, con budget ridotti e guerre intestine, continuano a lavorare perché il pubblico possa apprezzare tanti piccoli capolavori sconosciuti.

@paoladant

 

 

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