Fatti i compiti per settembre

Di Mariarosaria Marchesano
05 Giugno 2017
«Non ci spaventa l’idea di elezioni, anche vicine». Dall’Imu ad Atlante passando per l’Ema a Milano, la situazione bancaria e i Pir. Intervista a tutto campo a Fabrizio Pagani, capo segreteria del Mef

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Articolo tratto dal numero di Tempi in edicola (vai alla pagina degli abbonamenti) – L’endorsement di Jean-Pierre Mustier all’Italia, davanti a una platea di 170 investitori internazionali giunti a Milano lo scorso 23 maggio per l’investment conference di Unicredit, non è passato inosservato in una fase in cui il governo Gentiloni sta cercando di riposizionare l’Italia sullo scacchiere europeo post Brexit. A incassare il plauso c’era Fabrizio Pagani, capo della segreteria tecnica del Mef, il ministero che sotto la guida di Pier Carlo Padoan ha avviato quel processo di riforme economiche a lungo sollecitato proprio dagli investitori esteri. Ma che cosa succederà ora che nel nostro paese c’è di nuovo aria di elezioni? In quest’ampia intervista a Tempi, Pagani accetta di rispondere a tutte le domande che si impongono in un momento in cui la richiesta di stabilità che arriva dai mercati internazionali si scontra con la formazione di nuovi equilibri nella politica interna che dovranno passare attraverso la verifica delle urne, forse già dopo l’estate. «Non è mio compito fare previsioni sui tempi del voto, in ogni caso non ci spaventa l’idea di elezioni anche se dovessero essere molto vicine», afferma Pagani. «Siamo preparati a qualsiasi scossone perché quella messa in campo è un’azione di politica economica solida e strutturata come rilevato anche dalla Commissione europea». Insomma, il dicastero di Padoan sta facendo i “compiti” a casa dettati da Bruxelles ed è come se sfidasse chiunque andrà al governo a fare diversamente.

[pubblicita_articolo allineam=”destra”]Professor Pagani, l’Unione Europea vi chiede anche di reintrodurre l’Imu. Lo farete?
Il taglio della tassa sulla prima casa ha fatto parte di un piano di riforme strutturali interconnesse tra loro come il Jobs Act, le liberalizzazioni, il taglio dell’Ires e dell’Irap. Un pacchetto che si tiene tutto quanto insieme. Non avrebbe senso tornare indietro.

Intanto, il debito pubblico ha toccato un nuovo record e la crescita resta comunque bassa. Come farà l’Italia a tenere il passo in un’Europa dominata dal nuovo asse Merkel-Macron?
Penso sia sbagliato preoccuparsi dell’alleanza franco-tedesca. L’arrivo di Emmanuel Macron può rappresentare uno stimolo positivo per costruire una nuova idea di Europa. E l’Italia, che è stata tra i paesi fondatori dell’Unione Europea ed è portatrice di storia e di valori che ne rappresentano le fondamenta, potrà assumere un ruolo strategico nel futuro assetto anche in un’ottica di bilanciamento di poteri tra i paesi. Dal punto di vista della crescita economica, poi, non vedo alternative: l’Italia potrà prosperare solo all’interno dell’Europa e commette un grosso errore chi lavora in un’altra direzione. Con questa convinzione, il governo ha agito su leve come lavoro, fisco e mercato dei capitali per impostare una nuova fase di sviluppo.

Il governo è anche impegnato a sostenere l’idea di Milano come nuova capitale europea della finanza. Ma a Londra pare ci siano un po’ di ripensamenti su come gestire l’uscita dall’Unione… Crede più nella possibilità che il capoluogo lombardo riuscirà ad attrarre attività legate al settore bancario e ai mercati oppure che venga scelto come sede di istituzioni come l’Ema, l’agenzia del farmaco?
Spero in tutte e due le cose, ovviamente. Milano ha dimostrato capacità di ripresa e di rinnovamento in diversi settori, compresi quelli urbanistico e culturale. Può avere un effetto traino per l’intero paese. Merita di fare la sua parte in questa fase di ripensamento e riposizionamento delle funzioni. Il governo si sta attivando a vari livelli per favorire questo processo che gode di ampio consenso politico. Per quanto riguarda la relocation delle attività finanziare, abbiamo costituito con il Comune di Milano il “Comitato Milano European Financial Hub” che vede la collaborazione del Governo, del Comune di Milano, della Regione Lombardia, di Banca d’Italia e di Consob, proprio con l’obiettivo di stimolare la creazione a Milano di un polo finanziario europeo anche in ottica post Brexit.

Torniamo alla crescita economica. Che fine ha fatto il piano per alleggerire le sofferenze bancarie e far ripartire l’erogazione del credito a imprese e famiglie? Finora, in questo senso, il fondo Atlante ha fatto molto poco.
Il sistema bancario italiano ha ormai superato il momento più difficile. E non direi che Atlante ha fatto poco. È dovuto intervenire in alcune situazioni per ristabilire un equilibrio patrimoniale e sta acquistando pacchetti di sofferenze. Ma il grosso viene adesso tenendo conto anche dell’opportunità di intervenire su Mps.

Dunque, Atlante 2 diventerà pienamente operativo.
Esatto. E vedremo presto gli effetti. È già in atto una ripresa di fiducia perché il credito alle imprese è ripartito grazie al fatto che gran parte del sistema bancario italiano è sano, come ha dimostrato anche il recente aumento di capitale di Unicredit che è andato molto bene. Ma con la cessione di nuove tranche di sofferenze che sono rimaste in carico agli istituti di credito, ci saranno benefici molto positivi per l’economia.

Anche i Pir (piani individuali di risparmio), che il Mef ha recentemente introdotto, sono stati pensati per facilitare alle imprese l’accesso al mercato dei capitali. Ci può dire a quanto ammontano complessivamente gli investimenti degli italiani in questo strumento?
Per il solo 2017, qualcuno ha stimato una raccolta di 10 miliardi di euro a fronte di 1,6 miliardi di previsione iniziale.

Quasi dieci volte di più. È stata raggiunta la quota del 21 per cento riservata alle pmi di piazza Affari?
Per forza, era un obbligo previsto dallo strumento.

I più critici dicono che le risorse attivate con i Pir sono state allocate su banche e grandi aziende quotate in Borsa mentre sarebbe auspicabile (Confindustria) un maggiore impegno per le piccole società impegnate in progetti di crescita. Che cosa ne pensa?
Ma no, le risorse arriveranno a tutti. Il problema è un altro: occorre individuare, e ci stiamo già lavorando, nuovi strumenti finanziari che consentano di investire su società che non sono quotate. Il sistema delle imprese ha bisogno di una catena di trasmissione che funzioni a tutto tondo nel reperimento di capitali per la crescita.

È ipotizzabile una nuova ondata di quotazioni da parte di piccole aziende attratte dalla possibilità di accedere alle risorse messe in circolo dai Pir?
Certo, è possibile e sarà così. Ma occorre pensare anche alle imprese che sono fuori dal circuito dei mercati finanziari.

Crac e crisi bancarie hanno posto un tema di risparmio tradito. Qualcuno pensa si sia incrinato il rapporto di fiducia tra i cittadini e il sistema. È più grave, secondo lei, la scarsa educazione finanziaria degli italiani o la scarsa etica dimostrata in alcuni casi dagli intermediari che hanno venduto loro prodotti inadeguati?
Ci sono stati purtroppo casi di cattiva gestione, che ormai conosciamo tutti. Situazioni che si sono verificate in Italia e in altri paesi. È quindi sempre necessario che i cittadini siano preparati a valutare gli investimenti che vengono loro proposti, lavorando sul fronte dell’educazione finanziaria. Per contro, le nuove normative europee impongono agli intermediari obblighi stringenti sulla valutazione del profilo di rischio dei clienti e sugli investimenti consapevoli. Gli intermediari che collocano prodotti finanziari, compresi i Pir, devono attenersi rigorosamente alla normativa europea e nazionale sulla tutela del risparmiatore.

@MRosariaMarche2

Foto Ansa

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