
Family day e la conquista di un rilievo politico

Articolo tratto dal numero di Tempi in edicola (vai alla pagina degli abbonamenti) – Perfino il Corriere della Sera, fra i capifila pro ddl Cirinnà, pubblica sondaggi che registrano la forte contrarietà degli italiani alla follia che il Senato sta votando in queste ore. Il dissenso emerge con chiarezza nonostante i quesiti siano in qualche modo orientati: agli interpellati non è stato chiesto se sono o meno a favore del matrimonio fra persone dello stesso sesso, bensì se condividono le unioni civili; la domanda più corretta sarebbe stata la prima, visto che – come abbiamo più volte illustrato – quello che nel ddl è definito regime delle unioni civili disegna in tutto e per tutto un matrimonio, con i richiami espliciti alle norme del codice civile che disciplinano quest’ultimo. Nonostante ciò, la contrarietà sfiora la metà degli interpellati.
Ancora più consistente, anzi ampiamente maggioritaria, è l’opposizione alla stepchild adoption: anche qui, non si spiega che il giorno dopo l’entrata in vigore delle disposizioni del ddl qualsiasi giudice le estenderà all’adozione tout court, sì che il quesito corretto avrebbe dovuto riguardare se si è pro o contro l’adozione same-sex.
I sondaggi riflettono il successo eccezionale delle manifestazioni del 20 giugno e del 30 gennaio, e il sentire diffuso che ciascuno può percepire, nonostante una oppressione mediatica fatta di talk show, fiction, film e Sanremi. Nonostante non siano mancati in passato passaggi parlamentari fortemente divisivi – si pensi alla legge che ha introdotto l’aborto “legale” –, è difficile trovare precedenti di separazione così netta fra l’orientamento maggioritario degli italiani e le decisioni del Parlamento. La spaccatura non è tanto nel corpo sociale, quanto fra il corpo sociale e chi dovrebbe rappresentarlo.
Non è un segnale positivo, non soltanto per il merito delle leggi dissennate che vengono approvate. Non lo è perché una frattura così profonda rende la fiducia nelle istituzioni elettive ancora più precaria: gli effetti della divaricazione elettori/eletti possono non limitarsi all’allontanamento ancora più massiccio dal voto, se a patirli sono fasce sociali non marginali. Il punto di partenza è che i milioni di persone del Circo Massimo oggi non si riconoscono in nessuna forza politica; certo, più d’una tenta l’ammiccamento, ma finora nessuna ha dato dimostrazione di continuità, coerenza e fermezza sui punti chiave che stanno a cuore del popolo delle famiglie.
Il punto di partenza è l’esistenza di un popolo che su vita e famiglia ha idee chiare, che non intende diluire o ridurre a materia di contrattazione. Questo popolo ha però bisogno di venir fuori da una pur importante modalità di manifestazione occasionale (guai se i due eventi non ci fossero stati) e di acquisire consapevolezza e peso politico. Interpellare i candidati sindaci per le prossime elezioni amministrative va esattamente in questa direzione: vuoi il mio consenso? Impegnati formalmente, se eletto, a che il tuo Comune non sia strumentalizzato per fare propaganda gender, o per celebrare “nozze” same-sex; impegnati per adeguare le imposte di competenza del Comune al carico quantitativo e qualitativo di ciascun nucleo familiare, e quindi al suo progressivo abbattimento in relazione al numero dei suoi componenti, o alla presenza al suo interno di disabili, e così via.
Un discorso analogo riguarda il referendum sulle riforme costituzionali: come rispondere a chi chiede la conferma di norme che ridurrebbero ancora di più gli spazi per frenare la deriva liquida e liquidatoria che è in corso? Ma questo è solo l’inizio di un lavoro di allargamento dal perimetro della protesta al rilievo in senso lato politico del popolo delle famiglie. È indifferibile la crescita di consapevolezza culturale di quest’ultimo. Urge che la dottrina sociale della Chiesa, che contiene riferimenti di principio, valutazioni su ciò che accade e indicazioni operative diventi il pane quotidiano della formazione permanente di quel popolo. Saltare questo passaggio, senza trascurare gli altri, significa rassegnarsi a ritrovarsi in tanti (che è comunque fondamentale) e continuare a subire.
Foto Ansa
0 commenti
Non ci sono ancora commenti.
I commenti sono aperti solo per gli utenti registrati. Abbonati subito per commentare!