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Famiglia fucina del bene comune

Un patto per restituire alla famiglia il suo ruolo di cardine della società. E per superare il conflitto con il lavoro. In attesa dell’Incontro mondiale a Milano, la proposta degli economisti e coniugi Stefano e Vera Zamagni diventa un libro.

Caterina Giojelli
26/04/2012 - 17:04
Chiesa
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«Mentre una certa vulgata vorrebbe che le caratteristiche peculiari della famiglia dell’Europa occidentale siano il portato della rivoluzione industriale, è ormai stato chiarito da un’imponente letteratura che la direzione di causalità è inversa: sono state le caratteristiche della famiglia dell’Europa occidentale ad aver prodotto le condizioni favorevoli per la rivoluzione che ha cambiato il mondo». Comincia così Famiglia & lavoro (ed. San Paolo, 14 euro) di Stefano e Vera Zamagni, ponendo alla radice del rapporto famiglia-lavoro, «un primato della famiglia che oggi si vorrebbe cancellare. Con effetti paradossali in Italia, dove nonostante una certa retorica di maniera la famiglia di fatto viene considerata non solo come una voce di spesa del bilancio pubblico, ma soprattutto una “variabile dipendente”: tocca ad essa adeguarsi alle decisioni degli altri attori sociali». Per Vera Negri Zamagni, professore di Storia Economica all’Università di Bologna, questo è il secondo libro scritto insieme al marito, professore di Economia nello stesso ateneo; il primo, La cooperazione, edito da Il Mulino, risale al 2008, e già allora l’esperimento di sposare il suo approccio storico-quantitativo a quello teorico e di storia del pensiero del marito aveva funzionato. Ma una riflessione sulla complessa relazione tra vita famigliare e lavorativa, questa era in cantiere da lungo, lunghissimo tempo. «Finché arrivò il momento di mettere insieme quanto prodotto in tanti anni di vita accademica e matrimoniale». L’occasione? Dare alle stampe un libro sul tema in occasione dell’Incontro mondiale delle famiglie (a Milano, dal 30 maggio al 3 giugno).

Professoressa Zamagni, colpisce quella “&” commerciale in copertina, ad evocare un rapporto di alleanza tra famiglia e lavoro, non certo il dualismo e il conflitto postulati dalle politiche di conciliazione di cui si sta tanto parlando oggi in Italia.

Tanto è vero che al termine conciliazione noi preferiamo quello di armonizzazione responsabile: il primo ha purtroppo assunto un significato strumentale da un lato a migliorare la produttività delle imprese e dall’altro a liberare la donna da una sorta di presupposta segregazione occupazionale. Questa concezione è fondata su un’idea di lavoro che è pena e alienazione intorno al quale ritagliare il tempo e l’immagine di una famiglia come luogo di solo consumo. Per noi invece la famiglia è un soggetto produttivo per eccellenza, generatore di beni quali fiducia, reciprocità, gratuità, senza i quali una società non avrebbe futuro: per questo non condividiamo la posizione di chi ritiene che strumenti di conciliazione quali congedi parentali, part-time, flessibilità, debbano essere pensati per consentire alla donna che ha famiglia di adattarsi meglio alle esigenze dell’impresa. Non solo riteniamo che le politiche debbano essere declinate a livello di coppia, ma anche che lavoro e famiglia stiano sullo stesso piano, entrambi concorrenti a realizzare la persona. Il libro nasce così, per proporre una strategia dell’alleanza, un supporto a un disegno riformatore tra più ardui del nostro tempo: un patto tra famiglia e lavoro.

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Oggi però la famiglia sta vivendo una sorta di crisi d’identità, non somiglia affatto alla famiglia fondante la modernità. 

La famiglia di allora aveva una dimensione lavorativa condivisa dagli sposi, anche se essa non transitava per il mercato, e obiettivi comuni. Ma con la rivoluzione industriale secoli di attività che nascevano in casa vennero diretti in luoghi esterni, nelle fabbriche, con regole e tempi che non erano le regole e i tempi della famiglia. L’uomo si specializzò sempre più nel suo lavoro fuori casa e la donna si specializzò sempre più nel suo lavoro domestico. Col tempo queste specializzazioni si rivelarono fortemente asimmetriche. Il valore del tempo dell’uomo, sfidato dal progredire della tecnica a studiare, viaggiare, perfezionarsi, divenne più elevato, gli obiettivi tra gli sposi sempre più diversi. Finché nella seconda metà dell’Ottocento, iniziarono i processi di emancipazione femminile, e via via, le modifiche al diritto di famiglia, il rientro massiccio della donna nel mondo del lavoro. Mai la donna ha goduto di pari diritti e mai il processo produttivo è stato tanto esternalizzato nella storia come oggi. Una rivoluzione che ha origine dunque nell’evoluzione del lavoro e che pone oggi alla famiglia sfide mai affrontate prima, ostiche non solo per l’inerzia culturale ereditata dalla famiglia specializzata ma anche per la necessità di ricostruire gli equilibri familiari su fondamenti nuovi.

Dati alla mano, nel libro spiegate come la famiglia sia tuttavia il più potente ed efficace generatore di valore aggiunto sociale senza il quale un’economia di mercato imploderebbe nello spazio di un mattino. Perché allora in Italia è così difficile dar vita a politiche della famiglia?

È un mistero. In Europa i più attenti alle famiglie sono i paesi nordici, la Germania e la Francia: qui il quoziente familiare è stato introdotto nel 1945. In Italia la spesa per i servizi alla famiglia resta invece scandalosamente bassa: il 4,1 per cento della spesa sociale, poco più dell’1 per cento del Pil a fronte di una media dell’8 per cento destinata dall’Europa. Qui non è mai stata introdotta una prestazione universalistica per le famiglie con figli allo scopo di sostenerle economicamente; e lo strumento degli assegni famigliari non solo non è in grado di sostenere il reddito, ma ha finito con lo scoraggiare il lavoro fuori casa delle donne.

I primi a non investire sulla famiglia, e sul suo fondamento tradizionale, il matrimonio, del resto sembrano proprio le persone. Ai cui occhi una promessa di amore per tutta la vita non presenta adeguate garanzie. Da economista cosa ne pensa?

Penso che una volta, quando si rischiava di morire ogni giorno, ci si misurava quotidianamente con l’urgenza, il desiderio di stringere qualcosa che richiamasse l’infinito e non c’era il tempo di accumulare beni materiali nel tentativo di colmare questo desiderio di eternità. Solo l’amore. Oggi invece la vita è talmente lunga che si è smesso di pensare, se non in termini di cura, al fatto che essa possa finire, non ci si interroga più al cospetto della morte. Oggi l’Italia è il paese a più celere tasso di invecchiamento al mondo ed è al secondo posto per indice di anzianità dopo la Germania, ma balzerà al primo nel 2020, quando il rapporto anziani/occupati salirà al 40 per cento. Siamo cioè diventati il primo paese al mondo in cui le persone sopra i 60 anni sono più di quelle sotto i 20 anni.

Il Papa ha dato appuntamento alle famiglie di tutto il mondo a Milano. Cosa porterà con sé partecipando all’Incontro?

La speranza che la famiglia torni a esprimere con forza il suo significato: sociale ed economico ma anche morale e teologico. Che torni ad avere la dimensione grande della condivisione di un destino, che per quanto riguarda la mia famiglia c’entra con il primo caffé del mattino, l’arrivo dei nipoti, il mettere insieme anni di appunti per scrivere uno stesso libro. Un cammino iniziato anni fa, due lauree all’università Cattolica di Milano, due mezze borse di studio per un dottorato ad Oxford e due carrozzine di seconda mano per portare a spasso Giulia ed Elena. Ci eravamo sposati così: con la sola certezza che ci stavamo sposando per costruire insieme la nostra vita. Ma i giovani oggi per sposarsi vogliono invece anche i quadri alle pareti, prima si costruisce la propria vita, e poi se ne parla: che vergogna, dico io. E tuttavia molto si può fare perché l’autorealizzazione non resti l’ultima parola e l’incertezza sul domani non prenda il sopravvento su questa straordinaria unione, l’unica capace di esprimere i valori fondanti di una società. A livello politico, innanzitutto. Perché fare una famiglia non resti un atto eroico e fare figli un sacrificio impossibile.

Tags: family 2012Stefano zamagni
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