L’argomento “fame nel mondo”, coinvolge e ha coinvolto da sempre politici e commentatori. Troppo spesso però, si tende a semplificare commettendo gravi errori di valutazione. Si utilizza, ad esempio, la definizione “fame nel mondo”, ma sarebbe più opportuno parlare di “problema fame” per alcuni gruppi socioeconomici, etnie, classi. La recente carestia in Etiopia ne è una conferma: il cibo nel paese c’era, ma non è arrivato a coloro che ne avevano bisogno. Il sistema globale produce alimenti da sfamare l’intera popolazione mondiale. Il vero problema sta nel comprendere la natura del mancato accesso al cibo da parte di più di 800 milioni di persone. La seconda semplificazione è quella che riduce la questione alimentare alla presenza predatoria delle multinazionali. Le responsabilità di queste imprese non vanno celate ma farne l’unico capo espiatorio, è fuorviante. Nei fatti, la carestia più grave verificatasi nel ‘900 è quella avvenuta in Cina fra il 1958 e il 1961, dove si stima che morirono di fame tra i 16 e i 26 milioni di persone. Oggi è la Corea del Nord il paese più colpito, dove circa 13,2 milioni di persone soffrono la fame. Non possiamo certo attribuire né alle multinazionali né alla mancanza di sovranità alimentare, le responsabilità principali. Un aspetto centrale nella spiegazione del mancato accesso al cibo è l’assenza o l’inadeguatezza dell’intervento pubblico, una circostanza questa che può essere ricondotta ad una grave carenza di democrazia piuttosto che ad una carenza di cibo. Non a caso, i paesi con una diffusa partecipazione popolare alle scelte politiche, non hanno mai sperimentato gravi fenomeni di fame di massa.
Reg. del Trib. di Milano n. 332 dell’11/6/1994
Codice ISSN
online 2499-4308 | cartaceo 2037-1241
Direttore responsabile
Emanuele Boffi