Caro direttore, un martedì di fine autunno il palazzetto dello sport di Pisa era presidiato da 530 dottori in discipline letterarie – fra cui noi – in attesa delle selezioni per l’ammissione alle anelatissime Scuole di specializzazione che, scusi il bisticcio, insegneranno ad insegnare ai futuri insegnanti. Finalmente il buon caos urlante ha termine e vengono distribuiti gli allucinanti quiz: tutto il sapere domanda per domanda. Quaranta questioni a risposta multipla d’italiano e quaranta di storia in un’ora e mezza, a cui seguono venti questioni di latino in mezz’ora. E per i più bravi un’altra ventina di greco. Tutti a leggere di corsa, certi che la danza della bontà non può che manifestare se stessa: incipit criptici da individuare, date, battaglie, verbi, dinastie e città addirittura da localizzare (esiste dunque la geografia?), anafore ed endecasillabi, esametri e piuccheperfetti… il tutto in pochissimo tempo, con l’ansia di non colorare troppo né troppo poco il quadratino della risposta che pare opportuna, pena l’illeggibilità ottica. Tutto nozioni e niente profondità d’interpretazione.Tutte cose da sapere e non da pensare. Impossibile dimostrare chi siamo, far vedere la nostra cultura che va ben oltre quest’arido nozionismo. Noi, i primi figli del progresso sessantottino che ci ha finalmente resi tutti communards, eliminando le assurde discriminazioni fra promossi e respinti; noi, generati dall’istruzione di Stato che ha dato a tutti un’obiettiva e laica cultura, difendendo la verità contro la faziosità delle scuole dei preti; noi che siamo sempre a casa seduti sul sofà, protetti e aiutati ovunque andiamo, anche qui, tra le braccia di questa commissione che ci dice quanti esami abbiamo fatto, che ci aiuta a far la media (noi siamo intellettuali e poeti) e insegna quanto annerire i quadratini; noi pur leggiamo di che domande si tratta! E noi non possiamo saper rispondere! Nessuno ci ha mai insegnato niente! Nessuno anzi ci ha mai detto che occorre studiare prima di interpretare! Come può essere successo? Eppure, le domande sono quelle che stiamo leggendo, quelle dell’oscuro tempo pre-sessantottino che credevamo morto per sempre. Quando è morto Cicerone. Che cos’è un’anastrofe. Come si costruisce dubito. Da quale opera è tratto quest’incipit. Che sono questi versi incomprensibili AaBCcDDa… eppure la commissione ci vuole così bene, ché siamo tutti compagni; eppure siamo proprio noi, i figli primogeniti del pensiero progressista. Che abbiano sbagliato buste?”. Non hanno sbagliato buste. Ci hanno ingannato per anni e continuano a farlo.
Maria Novella Todaro, Pisa Il pensiero progressista è come un bollo di circolazione, una tassa che adesso si può pagare anche in tabaccheria (ma solo quelle che hanno anche il gioco del Lotto, ci dice il tabaccaio qui di sotto). Per il progresso epistemologico di cui sarà ancora vittima, si legga qui, alle pagine 18-19, la puntigliosa requisitoria della professoressa Serenella.
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Cari amici, per aiutarvi e aiutarmi nella dura battaglia per la libertà di educazione (quante discussioni in ufficio per far capire che non è una questione di “soldi ai preti”) mi permetto di lanciarvi una proposta. Che ne dite di istituire una piccola rubrica settimanale da intitolare per esempio “Camera&Fabietti docet”, oppure “Il verbo di Berlinguer”, in cui citare in modo preciso e puntuale (frasi virgolettate, numero di pagine, ecc.) le “perle” scovate su testi scolastici, programmi e circolari ministeriali? Nella mia esperienza quotidiana mi sono reso conto che di fronte all’evidenza di “riscontri oggettivi” almeno chi è in buona fede rimane spiazzato e non può fare altro che darci ragione.
Cordiali saluti e buon Natale a tutti.
Paolo F., Genova, giunta via Internet Buona idea. Scagli la prima pietra.
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Egregio Direttore, ho avuto la possibilità, al Meeting di Rimini, di abbonarmi al settimanale da Lei diretto. La lettura costante di questi mesi mi convince della sua utilità, anche per coloro che in questi “tempi duri” scelgono di impegnarsi in politica per difendere e promuovere la libertà dell’uomo e di ciò che esso intende e vuole costruire.
La ringrazio, augurandole una conoscenza sempre più vasta del giudizio che emerge da ciò che voi scrivete e, quindi, la diffusione del vostro settimanale. Con amicizia Ubaldo Lonardi, Assessore al Turismo e allo Sviluppo Economico di Padova Siamo lusingati, oltre che ben consapevoli di essere solo all’anticamera di un giornale come si deve.
Cari amici, sono un vostro abbonato e devo ringraziarvi per la vostra professionalità e soprattutto per il vostro impegno: non si vedono tutti i giorni persone disposte a mettere in gioco se stesse come fate voi. Continuate così.
Pietro Pizzuto, Cinisello Balsamo Non facciamo altro che guadagnarci il pane. Il detto è fallace, ma resta suggestivo: fare il giornalista è sempre meglio che lavorare (Luigi Barzini).
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Egregio direttore, il guaio è che in questo paese che ci ostiniamo a chiamare cattolico, molti di noi vanno in Chiesa la domenica, come si va a prendere l’aperitivo in piazza. Non puoi farne a meno, altrimenti non ti sembra nemmeno domenica. Ma Cristo non ha nulla a che fare con la nostra vita. Ognuno di noi ha una religione fatta su misura, dove sta stretta, “si scuce”, come per un abito troppo attillato, il cristianesimo è una favola per farci stare buoni, una realtà virtuale che non tocca la vita. È così che associazioni cattoliche, oratori, ecc.. sono pieni di brave persone, gente di buona volontà, che fa cose encomiabili, donando tempo e denaro ma di fronte a battaglie come quella per la libertà di educazione si tira indietro. Come se non fosse importante, come se non fosse loro il diritto di educare. Scegliamo per i nostri figli il meglio, scegliamo con cura le loro pappe, i loro abiti, la cartella e il diario e non siamo liberi di scegliere a chi affidarli nove ore al giorno, chi deve collaborare con noi nella loro educazione. Allora io dico, NON siamo liberi.
Nerella Buggio, Nova Milanese Come diceva quel Tale? “….vi farà liberi”. Il guaio è che se, come dice lei, “NON siamo liberi”, si vede che è più facile che un cammello passi per la cruna di un ago che una brava persona eccetera.
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Riceviamo dalla Procura della Repubblica di Milano – Direzione Distrettuale Antimafia – raccomandata a mano, consegnata da un funzionario della Guardia di Finanza, questa lettera della Dott.ssa Daniela Borgonovo. E volentieri pubblichiamo:
Oggetto: rettifica ex art. 8 legge 8.2.1948 n.47 Con riferimento all’articolo “Cittadini al Forno” pubblicato sul numero 46 del 2/8 dicembre 1999 preciso di aver effettivamente chiesto il trasferimento alla Direzione Distrettuale Antimafia di Milano dopo anni di permanenza nel dipartimento che si occupa di violenza sessuale, ma tale scelta è stata determinata da ragioni di arricchimento professionale e non da contrasti con il dott. Forno, del quale condivido le modalità d’indagine e al quale, cogliendo l’occasione, rinnovo la mia stima e la mia amicizia.