«Eliminati i voucher, resta il lavoro nero»
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Articolo tratto dal numero di Tempi in edicola (vai alla pagina degli abbonamenti)
Un «comportamento assolutamente censurabile» quello del governo, che acconsentendo a eliminare i voucher ha preso una «decisione grave dalle ragioni meramente ideologiche, per nulla oggettive». Secondo Francesco Rivolta, direttore generale di Confcommercio, la scelta del Consiglio dei ministri di tradurre in decreto il voto della Commissione lavoro per l’abrogazione degli articoli 48, 49 e 50 del Jobs Act è stata «una mossa strategica, giustificata dal governo con l’argomento che ora l’Italia non ha bisogno di un referendum. Io invece sono convinto che, a questo punto, sarebbe stato molto meglio chiamare il paese a pronunciarsi e discutere». Ciò che è grave, sottolinea Rivolta a Tempi, è che il governo «sia intervenuto in materia di lavoro senza sentire le parti sociali e imprenditoriali. Noi di Confcommercio abbiamo sempre dato la nostra attiva collaborazione a tutti i provvedimenti assunti negli ultimi anni, ma quest’ultima decisione del governo è stata un colpo di mano».
[pubblicita_articolo allineam=”destra”]Rivolta concorda sul fatto che forse i voucher non fossero degli strumenti impeccabili, «ma il punto è che le aziende hanno bisogno di mezzi che consentano di operare in maniera flessibile dentro un quadro di legalità, soprattutto per quanto riguarda il lavoro occasionale». Non esistono altre forme alternative valide e «la convinzione della Cgil che, sopprimendo i voucher, aumentino le assunzioni è solamente un’illusione ottica». Ma, per fortuna dei sindacati, l’Italia ha la memoria corta, «così tra qualche anno non saremo in grado di chiamare la Cgil a rispondere di questo grave atto di irresponsabilità».
L’argomento che i voucher sono spesso usati in maniera impropria, infatti, non giustifica niente: «Se qualcuno abusa di uno strumento legislativo, bisogna prendere il colpevole e punirlo. Ma in Italia, invece che colpire chi abusa, si colpisce lo strumento, il che è del tutto illogico. È come se, per colpa di pirati della strada che passano con il rosso, si decidesse di togliere tutti i semafori dalle strade. Chi addita lo strumento come causa dell’abuso è chiaramente in mala fede».
Se si privano quindi le aziende dell’unico strumento in grado di operare nella legalità, concorda Rivolta, l’unica alternativa, inevitabilmente, rimane il lavoro in nero. Il governo ha annunciato che si organizzerà appositamente un tavolo per studiare delle soluzioni diverse e la Confcommercio rimane in attesa di ascoltare le proposte. «Certo sarebbe stato più intelligente elaborare delle alternative (ammesso che ce ne siano) prima, e non dopo, la soppressione degli strumenti esistenti. Ma da questo punto di vista il nostro è un paese schizofrenico».
Vortici burocratici
Senz’altro tra le possibili soluzioni non può rientrare, come ipotizzato da qualcuno, il lavoro a chiamata: «Non è adatto, perché presuppone che si compiano tutte le procedure burocratiche per un’assunzione “normale”, ad esempio a tempo determinato. Ma se, per esempio, questa mattina un mio dipendente mi chiama e mi dice che oggi non può venire a lavorare perché ha l’influenza, io che faccio, scelgo il lavoro a chiamata? Cioè, nella pratica, vado all’Inps, regolarizzo la posizione, mi infilo in un vortice di burocrazia solo per un lavoro di un giorno o addirittura di poche ore? Impensabile. Il voucher ha il vantaggio di essere uno strumento estremamente flessibile che consente di intervenire immediatamente in caso di bisogno, fornisce una copertura previdenziale e fiscale, insomma è perfetto per i casi di emergenza».
Rivolta sottolinea che il lavoro in nero è uno dei problemi più grandi del mercato italiano ed eliminare i voucher equivale quindi «a cancellare uno strumento che è stato utile per tutti. Se è servito a ridurre questa area grigia del mercato del lavoro, invece di abrogarlo, non dovremmo riconoscerne l’efficacia e la validità?».
Foto e grafico Ansa
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