Elezioni Presidenziali. Sinistra, ostaggio della demagogia?

Di Francesco Amicone
19 Aprile 2013
Pd. La base, in rivolta, occupa le sedi del partito. No al nome condiviso per il Capo dello Stato. I vertici Pd accettano il volere della piazza. Dove è finita la maturità democratica della sinistra?

«Pd, la base in rivolta» (La Repubblica); «La base Pd contro i dirigenti» (Sky); «La base del Pd brucia le tessere in piazza» (Libero); «La base del Pd invade le bacheche di Facebook» (La Nazione).  Stillicidio di notizie che raccontano del sentimento negativo e del fremito che investe il popolo piddino, in questi giorni di elezioni presidenziali.
Da La Spezia a Versilia, a Roma, il pomo della discordia è la decisione da parte del leader Pier Luigi Bersani di promuovere un accordo per l’elezione di un Capo dello Stato che, almeno, non fosse osteggiato dal centrodestra. Per il passionale elettorato di sinistra, però, il Presidente della Repubblica – figura istituzionalmente neutra e di garanzia – dev’essere, non soltanto di parte, ma anche schieratamente nemica dell’odiato Silvio Berlusconi.

LA PROTESTA. A causa del “buon senso istituzionale” di Bersani, le sedi dei democratici sono trasformate in bivacchi dai manipoli della base. Giovani manipoli. Quelli meno giovani presidiano la piazza davanti a Montecitorio. Della loro protesta ne parla il web, e gli strilloni che si sgolano su twitter forsennatamente: «contestato Buttiglione», «contestato Giovanardi», «contestato Berlusconi», «contestato il Pd». Gli slogan da presidio, urlati a montecitorio sono forse un po’antiquati, come le facce inquadrate dalle telecamere, e tengono conto della ristrettezza dei tempi, evitando prodigalità: «vergogna», «buffoni», «a casa», tre parole, non di più.
La rabbia della base è messa in scena dal camaleontico Gianfranco Mascia, leader del Popolo Viola e poi gregario di quello arancione, candidato con Antonio Ingroia nella fallimentare missione di Rivoluzione Civile, il quale ha il particolare merito di piantonare da anni Piazza di Monte Citorio, e di affermare, oggi, interrogato per chissà quale altro merito dai giornalisti presenti, di sostenere la candidatura di Romano Prodi.

OCCUPARE IL PD. Che tanta rabbia contro il partito di maggioranza relativa potesse crearsi a causa di un flemmatico politico di sinistra come Franco Marini, nemmeno Bersani poteva immaginarlo. Fatta marcia indietro, il segretario democratico si muove ora sotto il ricatto dei vertici del partito, che lo hanno sfiduciato solo sotto il ricatto delle piazze, e che decide di optare per una scelta sentita come migliore dalla base, perché in odio a Berlusconi: Romano Prodi, l’ex presidente della Commissione Europea, il quale fu non incidentalmente anche leader politico del centrosinistra, guidandolo due volte alla vittoria elettorale.
L’unica alternativa all’ex Presidente del Consiglio che possa fermare il subbuglio della base Pd (poco più di 2 milioni di elettori certificati alle primarie) e far sparire l’ombra del «terribile inciucio» – definizione iperbolica di compromesso politico -, con il centrodestra, è Stefano Rodotà. L’unico Presidente possibile, ha dichiarato Beppe Grillo, per il Movimento 5 Stelle.

SUBALTERNITÀ CULTURALE. Inutilmente Massimo D’Alema aveva usato l’intellettuale comunista Antonio Gramsci per spiegare ai compagni che seguire una linea di confronto con il centrodestra fosse un atteggiamento ragionevole. «La paura dei compromessi è una forma di subalternità culturale», aveva dichiarato D’Alema nei giorni successivi alle elezioni parlamentari, per convincerli a non porre veti sulla collaborazione con gli avversari politici, visto il momento delicato che vive il paese. Il Pd, quella volta, preferì  non dargli ascolto, e ora deve farlo di nuovo, per costrizione.
Aver seguito le idee della “base”, simboleggiate dallo slogan  girotondino, «No all’abbraccio mortale del caimano», ha costretto il Pd ad annegare in un mare di insulti. In cambio di tutto ciò, il partito veleggia sull’onda della nuova “democrazia” che fino a ieri osteggiava , la quale prevede, in un’elezione, non la messa ai voti, ma l’acclamazione. Una democrazia che sceglie secondo l’umore della piazza, che diventa una «risorsa enorme» e da ascoltare, più importante della voce dei rappresentanti del popolo regolarmente eletti.

MEGLIO IL PAPA. Quello che sta avvenendo sembra l’incredibile sviluppo di quel partito maturo che, soltanto pochi mesi fa, aveva festeggiato la democrazia concreta delle primarie e salutato l’incoronazione di Bersani, politico “per bene” e “lontano dalla demagogia”. Oggi che ne è di quel partito?
Francesco Bei, cronista politico di Repubblica, ha scritto un twett a giustificazione della candidatura di Prodi, che, del “nuovo mondo” della sinistra, sembra esserne significativa espressione: «Prodi cattolico adulto sarebbe in sintonia con Papa Francesco», scrive Bei. Dunque sarebbe in sintonia con Grillo, il quale, a sua volta, aveva definito Francesco un “grillino“. Una relazione ardita evidenzia la possibilità di una nuova incredibile intesa e potrebbe venire incontro alla rapida evoluzione antropologica dell’elettorato di sinistra: l’elezione alla Presidenza della Repubblica di un altro Romano, il Pontefice. Resta da vedere se la piazza di Mascia e quella dei “giovani” del piddì saranno più d’accordo che non sul nome di Prodi.

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