
Egitto, solo i Fratelli Musulmani e gli ex di Mubarak vogliono gli emendamenti alla Costituzione
I Fratelli Musulmani, i resti del Partito nazionale democratico di Mubarak, i militari da una parte, tutte le organizzazioni e le personalità della rivoluzione di febbraio dall’altra: è questo il sorprendente schieramento delle forze in campo alla vigilia del referendum costituzionale del 19 marzo, che vede gli egiziani chiamati ad approvare o respingere gli emendamenti a nove articoli della Costituzione preparati da una Commissione di otto personalità scelte dai militari del Supremo consiglio delle forze armate.
A poche ore dallo svolgimento della consultazione, i primi si sono dichiarati a favore e i secondi contrari. Hanno fatto campagna per il “no” i Comitati popolari in difesa della rivoluzione, il Fronte nazionale per la giustizia e la democrazia, la Coalizione dei giovani per la rivoluzione, il partito Ghad del futuro candidato presidenziale Ayman Nur, il partito Wafd, i nasseriani, i futuri candidati presidenziali Mohamed El Baradei (ex direttore della Aiea e Premio Nobel per la pace) e Amr Moussa (segretario della Lega Araba), la vice presidente della Corte costituzionale Tahany El-Gebali, i famosi attori Amr Waked e Aser Yassin, l’imprenditore delle telecomunicazioni Naguib Sawaris proprietario di Wind e di Orascom, ecc. Si sono indirizzati agli egiziani perché votino “sì” i Fratelli Musulmani e il Partito nazionale democratico, fino a pochi mesi fa acerrimi avversari e ora allineati sulle stesse posizioni, condivise nella galassia dei gruppi e delle personalità del movimento che ha costretto Mubarak alle dimissioni solo da alcuni blogger come Alaa Abdelfattah e Nawara Negm.
Gli emendamenti stabiliscono che il presidente che verrà eletto a settembre non potrà concorrere per più di due mandati, che dovrà nominare un vice presidente e che avrà bisogno dell’approvazione del parlamento se vuole proclamare lo stato d’emergenza, il quale non potrà durare più di sei mesi. Inoltre gli è affidato il potere di redigere insieme al parlamento una nuova costituzione.
I fautori del “no” sostengono che dopo l’eventuale approvazione degli emendamenti la costituzione continuerà ad essere quasi identica a quella vigente sotto Mubarak, che il presidente continuerà ad avere troppi poteri e soprattutto che è sbagliato affidare a un comitato di 100 membri nominati dal nuovo parlamento e dal presidente la stesura di una nuova costituzione. L’obiezione più importante è l’ultima: le forze che hanno animato le proteste di gennaio e febbraio temono che le elezioni parlamentari previste per giugno o luglio favoriranno i due partiti che vantano la migliore struttura organizzativa: il Partito nazionale democratico e i Fratelli Musulmani.
La nuova costituzione verrebbe quindi scritta da un parlamento non veramente rappresentativo di tutta la società egiziana. Puntano dunque a bocciare gli emendamenti costituzionali per rallentare la velocità della transizione e prendere più tempo per potersi organizzare. Ci sono poi obiezioni più puntuali come quella che riguarda il nuovo articolo relativo al capo dello Stato: costui non potrà avere doppia nazionalità e sua moglie (sic) non potrà essere cittadina straniera. Naturalmente è criticata la disposizione implicita che il presidente debba essere per forza un uomo.
I Fratelli Musulmani proseguono la loro politica di cercare di tranquillizzare gli egiziani sulle loro intenzioni. Il capofila dei riformisti all’interno dell’organizzazione Essam El-Errian ha annunciato che il partito concorrerà solo al 40 per cento dei seggi in palio alle elezioni politiche, e propone alle altre forze che hanno animato la rivoluzione la creazione di una lista unitaria destinata a conquistare il 70 per cento dei seggi in palio. L’offerta non è stata finora raccolta.
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