editoriale La Nazareth che è dietro l’angolo I Pastori della Chiesa riuniti dal Papa a Roma per il Sinodo sull’Europa hanno indirizzato molti pensosi messaggi a Giovanni Paolo II (più pastorale attenzione alla sessualità, più sensibilità collegiale, più ecologia, ecc. ecc.) e qualcuno ha anche sorriso della strana e drammatica testimonianza del vescovo di Smirne, Turchia, dove si è documentato che il dialogo tra cristinesimo e islam non è che funzioni granchè, se è vero che l’establishment musulmano disprezza gli infedeli e sogna di invaderci grazie alla democrazia, dominarci grazie alla sharia. Esagerazioni, ha detto qualche Pastore di Francia, errori prospettici, comprensibili in quei cristiani che vivono in condizioni di schiacciante minoranza nei paesi musulmani. E magari saranno pure errori di prospettiva, anche se chi è stato in Turchia sa bene che è vietato costruire chiese e che il proselitismo cristiano è punito con la prigione. Viste da un ameno borgo della Provenza può darsi che sembrino esagerazioni le denunce di persecuzioni o, quanto meno, di sistematiche violazioni dei diritti di libertà che provengono da (quasi) tutti i paesi islamici (si veda ad esempio il rapporto Biro – fonte Onu – sul Sudan; le periodiche denunce di Amnesty International, i bollettini di Human Rights Watch, il dossier Acs sulla libertà religiosa nei paesi a maggioranza islamica). Nessuno vule guerre di religione. E ovviamente non è tempo di nuove crociate, epperò l’intelligenza ci è stata data per usarla. Ci sono paesi dove un cristiano rischia il patibolo per il solo fatto di esibire pubblicamente la propria fede nel Vangelo, mentre qui in Italia (e in tutta Europa) i musulmani possono costruire tutte le moschee che vogliono e agitare – con pretesa talora anche arrogante – il diritto di portare il chador a scuola, di ottenere riconoscimento politico e di ricevere finanziamenti pubblici. Nessuno vuole negare tutte queste belle prerogative all’islam di casa in Occidente e, anzi, la nostra democrazia, che è figlia di una precisa cultura e tradizione di libertà e razionalità giudeo-cristiana, ha dato e dovrà ancora dare molte prove della sua apertura a tutti. A tutti, ma non certo a coloro che nelle intenzioni e nei fatti esprimono disprezzo per tale libera e democratica civiltà. È vero che non possiamo imporre al mondo musulmano la nostra visione della vita personale e associata, ma non è che la democrazia è il regno degli idioti dove è concesso benedire i nemici della libertà e dire ai cultori dell’intolleranza, “prego, accomodatevi”. Stupisce che queste riflessioni non vengano fatte ai vertici della politica, in Italia e in Europa, in modo da chiedere ai paesi islamici condizioni di reciprocità, e sorprende vedere gli Stati Uniti dare l’impressione (vedi ad esempio la politica filotalebana e filosaudita di Washington) di offrire nemmeno troppo dissimulate coperture all’intolleranza islamica che avanza dal Caucaso all’Algeria, dal Pakistan alla cristianità in Terra Santa. L’amico amerikano domina il mondo in lungo e in largo, e confessiamo che ci fa piacere vederlo all’opera ovunque con la sua strepitosa potenza. Non ci scandalizza affatto, anzi comprendiamo benissimo, che la Casa Bianca mescoli libertà e difesa dei diritti umani con interessi molto prosaici e mondani. Ma ci inquieta se il Dipartimento di Stato è così indispettito dalla fiera indipendenza di un Papa (che ha opinioni diverse circa la guerra giusta, o che avrebbe voluto andare a Bagdad) da procurare (per vie dirette e oblique) offesa e contumelia agli amici della Santa Sede. Perché tale è infatti la condizione attuale dei cattolici ai quattro angoli del pianeta. Abbandonati, quando non apertamente perseguitati dalle pubbliche autorità. E l’Imperatore tace, quando non annuisce. Non c’è di che godere se lo sport di questo mondo è diventato l’irrisione e l’ostilità nei confronti del cristianesimo. Si rammenti piuttosto che, come già avvenne per il più esteso e duraturo degli imperi della storia, l’odio agli amici di Gesù Cristo non è mai stato foriero di nulla di buono. Perché se, come testimonia la fantastica avventura di un san Paolo, il cristianesimo non ha bisogno né di eserciti, né di imperatori illuminati per continuare a vivere nella persona e continuamente rinascere nella vita dei popoli (ieri in Asia Minore, domani chissà, via dall’Europa in Papuasia), non sappiamo se sia conveniente (all’uomo o alla barbarie?) che la radice della razionalità e della libertà su cui si fonda la civiltà e la democrazia occidentale sia sfregiata o, peggio, estirpata. TEMPI
Reg. del Trib. di Milano n. 332 dell’11/6/1994
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