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«Ecco perché i dati Wada su Schwazer possono diventare un’autodenuncia»

Intervista al giornalista sportivo Nando Sanvito, che ha seguito il caso di Alex Schwazer dal principio fino all'udienza di giovedì scorso a Bolzano

Rachele Schirle
14/09/2019 - 3:00
Sport
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Alex Schwazer in tribunale a Bolzano

Nando Sanvito, in un articolo hai definito «palesemente falso» il valore di concentrazione di Dna attribuito ad Alex Schwazer da un test genetico della Wada sulle sue urine, datato 2017 e presentato giovedì all’udienza di Bolzano.

In buona compagnia peraltro, visto che il perito del tribunale l’ha definito «assolutamente fuori scala e inverosimile». Ma attenzione! Considero falsato il valore ma non il test…

In che senso?

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Nel senso che non metto in dubbio che quei 14.013 pg/uL siano saltati veramente fuori come cifra ma o sono figli di un errore concettuale (sono stati attribuiti all’urina e invece sono riferiti al sangue) oppure sono figli di una situazione artefatta.

Cioè?

L’unico caso che li possa giustificare è che quel Dna non sia fisiologico ma immesso artificialmente. In questo caso sarebbe credibile persino se i picogrammi fossero il doppio, che so: 30.000.

E a che scopo al Laboratorio di Losanna avrebbero gonfiato il Dna nelle urine di Schwazer?

Questo dovrebbe eventualmente accertarlo il giudice se decide di ammettere il documento presentato dalla Wada.

La difesa legale di Schwazer ha chiesto che sia dichiarato inammissibile.

Io spero invece che il gip lo accolga. Se lo farà, potremmo scoprire cose interessanti.

Ad esempio?

L’urina di un controllo antidoping, risultato negativo e conservato a Roma per la durata di 14 mesi, finisce improvvisamente per transitare al Laboratorio di Losanna ed essere poi dirottato al Centre universitaire romand de medecins legale: perché arriva in quel centro o esce da quel centro con valori di concentrazione di Dna gonfiati?

Che idea si è fatto il gip secondo te?

Penso che se ammetterà il documento sarà perché lo consideri un indizio o una prova in più della manipolazione delle provette di Schwazer. Che bisogno c’era infatti di gonfiare la concentrazione di Dna nelle sue urine e mandarla a quantificare se non per avere una verifica?

Verifica di che?

I periti genetisti Portera e Lago hanno spiegato che se io aggiungo una piccola dose di urina estranea e contaminata da doping a quella del donatore posso rendere invisibile quel Dna estraneo aumentando fortemente la concentrazione del Dna originario, quello del donatore. Era dunque quella una verifica in questo senso? Si voleva forse vedere se un Dna estraneo poteva restare tracciabile o no?

A che scopo? Le urine incriminate di Schwazer erano altre e stavano a Colonia.

Appunto! Stavano in un Laboratorio non attrezzato geneticamente. Per il giudice potrebbe stare in piedi l’ipotesi che il campione di Losanna serva da cavia per quello di Colonia.

Quali altri indizi – oltre al Dna gonfiato – supporterebbero tale ipotesi?

Magari la coincidenza di due date: quella della richiesta del campione a Roma e quella della decisione del Tribunale di Colonia di accettare le richieste di sequestro delle provette da parte della magistratura italiana. Oppure il fatto che in base ai dati della perizia di Bolzano il degrado di quel valore (14.013) nel giro di 15 mesi potrebbe arrivare analogicamente a coincidere coi valori riscontrati nelle provette incriminate di Schwazer…

Uno scenario inquietante: quel documento finirebbe per svolgere il ruolo di autodenuncia.

Questo la valuterà il giudice, ma – con tutto il rispetto per le sacrosante accuse di scorrettezza alla Wada espresse in aula dalla difesa legale di Schwazer – perché mai dovremmo privarci di un assist così prezioso per la ricerca della verità?

Foto Ansa

Tags: Alex Schwazerdopingnando sanvitoWada
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