E la chiamano estate, anzi film, anzi boiata

Di Paola D'Antuono
19 Novembre 2012

Il Festival internazionale del Film di Roma si è concluso, tra la qualità medio bassa delle opere, un red carpet senza troppo celebrità e le polemiche, riservate soprattutto alla pellicola di Paolo Franchi, E la chiamano estate. Ma se non ci fosse stata la schiena nuda e lo sguardo ammiccante di Isabella Ferrari a riempire le pagine dei giornali dal 9 al 17 novembre di cosa si sarebbe parlato? Del solito Twilight, naturalmente, e di poco altro.

A QUALCUNO PIACE SFOCATO. Alla sua uscita la terza opera di Franchi era stata oggetto di critiche ferocemente bipartisan: E la chiamano estate è un film orrendo, ridicolo. Si prende la briga di difenderlo Paolo Franchi di Repubblica: «Assumiamoci il compito, in parte obiettivamente impervio, di difendere il suo film. Il terzo, dopo La spettatrice e Nessuna qualità agli eroi, di un autore che se non fosse una formula abusata definiremmo appartato. Anomalo in un panorama dominato dalle variazioni sul linguaggio della commedia. Con la cadenza dell’inchiesta che ricostruisce gli antefatti di un drammatico esito e facendo ricorso con evidenza consapevole ad abbondanti echi moraviani nel profilare situazioni e personaggi (il protagonista si chiama Dino come nel romanzo La noia ), il film indaga il nodo della non corrispondenza tra amore e sesso». Anche il Sole 24 ore non lo boccia del tutto anche se lo etichetta come «un esperimento parzialmente fallito». Generoso e poco obiettivo Il Messaggero: «Il talentuoso regista della Spettatrice e di Nessuna qualità agli eroi, non merita il giudizio sommario. Tanto più se l’insofferenza verso questo film malriuscito stinge in fastidio per tutto ciò che è complesso e di non immediata gratificazione». La giuria romana però sembra concordare con i tre moschettieri scesi in campo per difendere un film indifendibile. E infatti premia la pellicola per la migliore interpretazione femminile e per la migliore regia. Ferrari e Franchi sono stati sommersi dai fischi ma poco importa, il premio ora ce l’hanno sul caminetto alla faccia dei detrattori. Che sono e rimangono tantissimi.

DALL’ESPRESSO AL CORRIERE. Dalle colonne del suo blog su L’Espresso.it Manuela Caserta commenta così la doppia vittoria: «Quello che poteva sembrare uno scherzo diventa improvvisamente lo scandalo di questa settima edizione. Scandalo sì, perché sembra una beffa anche per un regista alla sua opera prima. Perché è come se la giuria non avesse visto i film che ha premiato, perché nemmeno fosse stato l’unico film in concorso, questo era l’unico premio che proprio non gli si poteva dare. Anche il premio per la migliore interpretazione femminile a Isabella Ferrari, protagonista del film di P. Franchi, che credo sia stato anche l’unico film meno recitato della sua carriera. Ma diamogli il premio per la bellezza, che vuoi che sia». Paolo Mereghetti, del Corriere, nella sua video recensione analizza le pecche dell’opera: «Il problema vero del film è che dietro i silenzi, dietro le immagini sfocate, dietro certe battute che vorrebbero dire tutto, non offre niente allo spettatore, rivela soltanto una vuotezza imbarazzante. Non è lo Shame italiano ma non è neanche uno dei temi che a Paolo Franchi stanno a cuore. Il cinema italiano e il festival non avevano bisogno di questa caduta».

DAL FATTO AL GIORNALE. Il Fatto Quotidiano lascia che a parlare siano i fatti: «Non è da tutti riuscire a mettere d’accordo quasi all’unanimità un’intera sala di giornalisti. Da questo punto di vista Paolo Franchi, regista bergamasco che ha presentato ieri mattina E la chiamano estate al Festival del Cinema di Roma, può vantare una traguardo senz’altro raro», mentre Il Giornale è decisamente meno sottile: «Tocchiamo con mano che il cinema italiano è al capolinea, se neanche la Ferrari ante-retro funziona più da specchietto per le allodole… Quel bianco lattiginoso sparato sullo schermo era sfumato di suo, ma mentre Ken Loach, per esempio, gioca benissimo sull’effetto rough anni Settanta e si comprende che certa rozzezza è voluta, Franchi invece non maneggia i cromatismi a tale livello». Anche Il Manifesto dimostra di non aver apprezzato la proiezione: «Non bastano però le costruzioni “teoriche”, e meno che mai le inquadrature del sesso senza piacere – le scene erotiche sono davvero brutte – o quella misoginia antica per cui le donne stronze rendono i maschi cattivi, per tradurne la contemporaneità. Nel gioco (presunto) di specchi Franchi si perde, e perde anche la sua scommessa». Libero invece ricorda ai lettori che il film è stato prodotto con i contributi statali: «Il porno d’autore è una boiata. E paghiamo noi».

WEB SCATENATO. I siti specializzati sono quelli con il dente più avvelenato. L’eco del cinema lo definisce «un film assolutamente da perdere. Paolo Franchi porta in concorso un film assolutamente noioso, lento, che a tratti sfiora il ridicolo. Certamente non siamo riusciti a cogliere e a capire il profondo messaggio filosofico che era nascosto dietro questa ambigua storia d’amore, ma siamo convinti che neanche il pubblico lo coglierà». Dello stesso avviso Il cinematografo che titola la recensione “Paolo Franchi in Concorso diviso tra eros e amore: non c’è soluzione, soprattutto per il film”. Basta leggere le prime righe per capire che nemmeno il portale italiano del cinema promosso dalla Fondazione Ente dello Spettacolo salva nulla: «Accolto dalla stampa con sghignazzi non stop (comunque, non si fa), ha trovato anche la recensione istantanea: E lo chiamano film? Non giustificare, ma si può comprendere: fotografato bene, nonostante i bianchi iniziali siano così abbacinanti da temere il fuori fuoco, non fa ridere per le scene di sesso – se la Ferrari è coraggiosamente quasi sempre nuda, Barr è un riccio ebete con la coazione a coitare – ma per i dialoghi. Citiamo solo una battuta: “Una scopata non si nega a nessuno”. Per uno, Franchi, che vuol fare cinema d’autore, è già molto, ma questa perla è in volgarissima compagnia». Il seguitissimo blog Cineblog è convinto che Paolo Franchi abbia perso la testa: «Tutto è eccessivo. La recitazione, i dialoghi, il lento procedere degli avvenimenti, la luce abbagliante ed accecante, le scene di sesso, la gratuità di alcuni nudi, l’atroce doppiaggio, l’evoluzione della storia, che diventa purtroppo poco credibile nel modo in cui viene raccontata. A turbare ovviamente non sono stati ne’ gli organi sessuali esibiti (tanto maschili quanto femminili) ne’ il linguaggio particolarmente colorito, bensì il loro senso, il loro assemblamento. Che trasuda mistero, incredulità».

@paoladant

 

 

Articoli correlati

0 commenti

Non ci sono ancora commenti.