Due lettere e un quadro per cominciare il 2017 ricordando chi siamo

Di Renato Farina
18 Gennaio 2017
Un nuovo inizio… Ripartire da un grazie. Un ri-Te Deum. L’inizio non è mai un ripartire da zero. Zero non esiste. Qualcosa è accaduto: siamo stati tratti dal nulla

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Pubblichiamo la rubrica “Boris Godunov” di Renato Farina contenuta nel numero di Tempi in edicola (vai alla pagina degli abbonamenti)

Non c’è modo migliore per ricominciare l’anno che un ri-Te Deum. Il nuovo inizio è proprio il caso cominci con un ri-grazie. È una questione di metodo. Boris non ci aveva mai pensato. Ed ecco arriva una lettera.

Boris, sono Ilda Casati. Il Te Deum di Tempi mi ha dato ospitalità per una breve testimonianza. Ho notato che anche tu (come me) nello stesso numero hai ripreso la figura di don Primo Mazzolari e io desideravo ringraziarti tantissimo per aver “rincarato la dose” nei riguardi di questo “profeta scomodo” che spero (e penso che lo speri anche tu) la Chiesa rivaluti sempre più senza incorrere nel rischio di dimenticarlo (come sai nel 2015 è iniziato il processo diocesano per la beatificazione). E di un’altra cosa desidero ringraziarti: nell’ultimo numero di luglio di Tempi mi hai citata senza nascondere la tua commozione nei confronti delle mie poche parole dette al funerale del mio papà (vittima della strage di Nizza). Io mi sono commossa a mia volta per questo tuo rimando che non hai esitato a corredare con termini come “miracolo” e “stupore”. Grazie davvero di cuore. Voglia questa sintonia collaborare, proprio come lo può fare la preghiera, alla pace universale che tutti desideriamo e che può partire anche così, cioè da una testimonianza come la tua, una buona penna a cui non manca l’ardire. Con riconoscenza, Ilda

Mi vergogno un poco a non cancellare le ultime righe, che sono un elogio, ma dicono un compito che è il mio, e non è altri che il mio. Ciascuno ha il suo. L’arnese di ciascuna professione è il modo con cui scriviamo per terra, sull’asfalto, sul pavimento, su un foglio qualcosa che però ha risonanza cosmica, come Cristo dinanzi a noi farisei ipocriti e a noi Maddalene sgualcite.

Un nuovo inizio… Quest’anno pare non avere neppure speranze di riscossa come nel 2016 prometteva il quesito referendario. Sia il sì sia il no prefiguravano scenari alternativamente meravigliosi o apocalittici nel caso della vittoria propria o altrui. Naturalmente non c’è stata né palingenesi con purificazione dal male, e neppure la catastrofe da sprofondamento di Atlantide. Il rischio allora è quello del cinismo o del fatalismo. Oppure del minimalismo intimistico. Tipo: curiamo il nostro orto, accontentiamoci della nostra sudata insalata. Impossibile, oltre che meschino. Tenere largo l’orizzonte. Di meno, non è umano.

Un nuovo inizio… Ripartire da un grazie. È la cosa più razionale che ci possa essere. L’inizio non è mai un ripartire da zero. Zero non esiste. Esiste qualcosa che accade, e precede la nostra riflessione, il nostro aderire o rifiutare. E quello che è accaduto è esattamente il fatto che siamo stati tratti dal nulla. Siamo dei piccoli niente, ma c’è qualcosa che freme in noi. La lettera di Ilda me lo dice con una forza tremenda e delicata. Esistiamo noi, il nostro io. E a farcene accorgere è qualcuno che ci dice: amico, grazie. Grazie di una parola che neppure ricordavi di aver scritto.

Come si può notare, Boris è all’esordio del 2017 piuttosto riflessivo. Rischia di scivolare nel patetico, che pur essendo un carattere tipico dei russi dopo una bevuta, non è uno stato d’animo di cui vantarsi. Dunque finisco con una cosa drammatica. È lo scritto che mi arriva da un amico, il grande archeologo gesuita belga padre Jos Janssens, oggi missionario nelle periferie di Bruxelles:

“Festa di Epifania. Meditare davanti ad una pittura (1999) di Beate Heinen (Germania). C’è solo il Bimbo Gesù, la luce venuta nelle tenebre (peccati) del mondo, del cuore mio per liberarcene. I doni. A sinistra il più giovane con in mano la sua pagella, su cui sta scritto “insufficiente”. Da destra arriva il mago adulto, che porta un vaso con una vistosa crepa: utensile del tutto inutile, anche se d’oro. Da dietro avanza l’anziano, che si toglie la maschera di gioia e allora si vede il suo viso pieno di tristezza e disillusioni. Eppure tutti e tre hanno una corona in testa. C’è la stella. Anche esperienze negative quali fallimenti, crepe, dolore nascosto ci hanno plasmato. Ma chi le vuole in dono? Doni che soltanto questo bimbo – dietro già la figura della croce (?) – sa accogliere davvero. Che ne farà? Sono i suoi, no? Padre Jos”.

Segue quadro. In ginocchio. Ringraziare in ginocchio, buon 2017. Anche se sei ateo, please.

@RenatoFarina

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