Il libro che ci ricorda che il calcio è una cosa serissima e ridicolissima

Di Giovanni Maddalena
03 Ottobre 2022
"Dov'è la vittoria?" racconta società e cultura dell'Italia negli anni Novanta attraverso le tre sconfitte ai Mondiali del '90, '94 e '98. Vale la pena di leggerlo
Schillaci Italia 90 mondiali calcio
Totò Schillaci, capocannoniere del Mondiale giocato in Italia nel 1990 (foto Ansa)

Mentre guardate le altre squadre che giocano il mondiale di inverno potete sempre consolarvi leggendo Dov’è la vittoria? (66th2nd editore) la storia incredibilmente divertente delle italiche sconfitte ai Mondiali di calcio negli anni Novanta.

Gli anni Novanta e quei tre maledetti Mondiali

Non so se avete mai saputo che gli argentini passarono una borraccia con sedativi ai poveri brasiliani in una gara di Italia 90. O se eravate a conoscenza del fatto che la federazione brasiliana in occasione di Francia 98 aveva fornito ai tifosi un vademecum dove si raccomandava di non cercare di corrompere i poliziotti francesi neanche in caso di necessità: «loro non capirebbero», concludeva il prezioso manualetto di francese applicato. O se vi ricordavate che il 3 luglio è la data sia della sconfitta ai rigori con il Brasile in USA 94 sia dell’eliminazione singolare al golden goal contro la Francia nel ‘98.

Beh, a parte la scaramanzia – per cui in effetti il collettivo di autori enigmaticamente raccolti sotto il nome di La ragione di Stato raccomandano nelle conclusioni di rimanere comunque a casa nel fatidico giorno – tra un aneddoto e un racconto epico di partita, il libro fornisce molto materiale per ripensare a quegli anni per chi c’era e a conoscerli per chi non c’era. Gli autori autori, infatti, sono tutt’altro che sprovveduti e con la loro retorica flamboyant fatta di iperboli, allegorie, metafore volutamente esagerate nel frattempo descrivono anche una situazione sociale e culturale. 

I leggeri anni Novanta

Libro calcio dov'è la vittoriaGli anni Novanta sono anni leggeri, nonostante le cupe vicende giudiziarie che affossano i partiti tradizionali e la cosiddetta prima Repubblica. La cultura dell’epoca è quella che Augusto Del Noce chiamava il nichilismo gaio, che politicamente si esprimeva in illusioni sul benessere futuro di una società globalizzata e multiculturale. Le ideologie del secolo che volgeva al termine, si pensava, hanno mostrato quanto lugubre e violenta sia ogni verità e, invece, non c’è nessuna verità perché tutto si secolarizza e si corrompe mostrando che in fondo non ne valeva la pena. “Anything goes”, tutto va bene anche senza crudi riferimenti a verità e realtà. Con savoir faire e lasciando a tutti lo spazio che vogliono, tutto andrà bene: vivremo in un mondo ricco, spensierato, globalizzato e felice.

Questa società sarebbe finita da lì a poco, con l’attentato delle torri gemelle del 2001, che riportarono tutti di fronte a una realtà fatta di convivenze problematiche fra culture, di guerre realistiche e spietate  – e spesso accettate in modo acritico – e di norme etiche. Un decennio dopo sarebbe arrivato anche il politicamente corretto, alla cui morsa speriamo sfugga questo libro fatto di ironie pungenti.

Un libro che tratta il calcio nel modo giusto

Anche il calcio sarebbe cambiato molto. Negli anni ’90 il campionato italiano era il più bello del mondo e vinceva tutto, come oggi quello inglese. E come oggi l’Inghilterra, la nazionale italiana, zeppa di giocatori invidiati in tutto il mondo, riuscì incredibilmente a non vincere nulla. Ma era uno spettacolo divertente e irriverente, fatto di personaggi, di rivalità, di assurdità, di tifoserie e di sfottò. Purtroppo poi il nostro amato sfogatoio nazionale sarebbe diventato un business globalizzato dominato da regole severe per giocatori e pubblico. Il noiosissimo tiqui-taca di Guardiola avrebbe preso il posto dello spumeggiante calcio di Arrigo Sacchi, il profeta di Fusignano, incarnato o forse reso possibile dai riccioli di Gullit e dal genio acrobatico di Van Basten.

Pazienza, tifiamo lo stesso, noi tifosi, anche quando ci annoiamo. E il calcio lo amiamo comunque, anche quando è meno divertente. Perché in fondo lo sappiamo, che il calcio è insieme una cosa serissima e ridicolissima, un’affezione tanto inspiegabile quanto profonda e, tragicamente, anche un riflesso della nostra umanità e della nostra società. Non è facile trattarlo in modo giusto, facendoci star dentro tutti questi oggetti e tutti questi sentimenti. Questo libro ci riesce, e non è poco.

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