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Mentre guardate le altre squadre che giocano il mondiale di inverno potete sempre consolarvi leggendo Dov’è la vittoria? (66th2nd editore) la storia incredibilmente divertente delle italiche sconfitte ai Mondiali di calcio negli anni Novanta.
Non so se avete mai saputo che gli argentini passarono una borraccia con sedativi ai poveri brasiliani in una gara di Italia 90. O se eravate a conoscenza del fatto che la federazione brasiliana in occasione di Francia 98 aveva fornito ai tifosi un vademecum dove si raccomandava di non cercare di corrompere i poliziotti francesi neanche in caso di necessità: «loro non capirebbero», concludeva il prezioso manualetto di francese applicato. O se vi ricordavate che il 3 luglio è la data sia della sconfitta ai rigori con il Brasile in USA 94 sia dell’eliminazione singolare al golden goal contro la Francia nel ‘98.
Beh, a parte la scaramanzia – per cui in effetti il collettivo di autori enigmaticamente raccolti sotto il nome di La ragione di Stato raccomandano nelle conclusioni di rimanere comunque a casa nel fatidico giorno – tra un aneddoto e un racconto epico di partita, il libro fornisce molto materiale per ripensare a quegli anni per chi c’era e a conoscerli per chi non c’era. Gli autori autori, infatti, sono tutt’altro che sprovveduti e con la loro retorica flamboyant fatta di iperboli, allegorie, metafore volutamente esagerate nel frattempo descrivono anche una situazione sociale e culturale.
Questa società sarebbe finita da lì a poco, con l’attentato delle torri gemelle del 2001, che riportarono tutti di fronte a una realtà fatta di convivenze problematiche fra culture, di guerre realistiche e spietate – e spesso accettate in modo acritico – e di norme etiche. Un decennio dopo sarebbe arrivato anche il politicamente corretto, alla cui morsa speriamo sfugga questo libro fatto di ironie pungenti.
Anche il calcio sarebbe cambiato molto. Negli anni ’90 il campionato italiano era il più bello del mondo e vinceva tutto, come oggi quello inglese. E come oggi l’Inghilterra, la nazionale italiana, zeppa di giocatori invidiati in tutto il mondo, riuscì incredibilmente a non vincere nulla. Ma era uno spettacolo divertente e irriverente, fatto di personaggi, di rivalità, di assurdità, di tifoserie e di sfottò. Purtroppo poi il nostro amato sfogatoio nazionale sarebbe diventato un business globalizzato dominato da regole severe per giocatori e pubblico. Il noiosissimo tiqui-taca di Guardiola avrebbe preso il posto dello spumeggiante calcio di Arrigo Sacchi, il profeta di Fusignano, incarnato o forse reso possibile dai riccioli di Gullit e dal genio acrobatico di Van Basten.
Pazienza, tifiamo lo stesso, noi tifosi, anche quando ci annoiamo. E il calcio lo amiamo comunque, anche quando è meno divertente. Perché in fondo lo sappiamo, che il calcio è insieme una cosa serissima e ridicolissima, un’affezione tanto inspiegabile quanto profonda e, tragicamente, anche un riflesso della nostra umanità e della nostra società. Non è facile trattarlo in modo giusto, facendoci star dentro tutti questi oggetti e tutti questi sentimenti. Questo libro ci riesce, e non è poco.
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