Il Deserto dei Tartari
Don’t Look Up. Una interpretazione letteralmente apocalittica
Potete considerarla un’intuizione geniale oppure un’interpretazione banale; una lettura capziosa oppure il sesamo di una comprensione più profonda, ma Don’t Look Up su Netflix ha tutta l’aria di un film sull’umano anelito al trascendente, o per essere più precisi un film sull’Apocalisse che annuncia il Ritorno di Cristo.
* * * Attenzione: spoiler * * *
«Non guardate in alto»
Non costa nessuna fatica smarcarsi dallo scontro fra estimatori e detrattori della pellicola quando nella stessa si scorge la metafora dell’attesa della fine del mondo – perché possa manifestarsi il mondo nuovo – e degli sforzi sia del potere che degli stessi soggetti alienati per reprimere lo sguardo verso l’oltre che rende l’uomo veramente libero. Don’t Look Up, “non guardate in alto”, nel film è l’imperativo oscurantista di chi vuole impedire che si prenda coscienza di evidenze fattuali che metterebbero in discussione interessi e rapporti di potere.
Ma è anche, da un paio di secoli a questa parte, l’imperativo di chi vuole incatenare l’uomo a una prospettiva totalmente immanente, di chi fa del materialismo la base di una religione dove l’uomo adora se stesso senza ammettere che sta praticando una forma di idolatria. Imperativo a cui si ribella ogni animo sensibile che non sia stato completamente sottomesso, come il Cyrano di Francesco Guccini: «E voi materialisti col vostro chiodo fisso, che Dio è morto, e l’uomo è solo in questo abisso, le verità cercate per terra da maiali, tenetevi le ghiande, lasciatemi le ali».
«Moriremo tutti!»
Ma, si dirà, l’oggetto che gli sguardi incontrano rivolgendosi verso l’alto non è una teofania, ma una cometa assassina, “a planet killer”; non è un angelo, oppure è un angelo sterminatore. Eppure la scelta della cometa come vettore della distruzione presenta già la prima ambiguità: a un asteroide sarebbe calzata meglio la parte dell’oggetto cosmico che estingue la vita sulla terra; la cometa da duemila anni a questa parte evoca l’evento soprannaturale della nascita dell’uomo-Dio. Quando appare nei cieli del film, la prima reazione di chi la vede non è di terrore e di pianti inconsolabili, ma uno stupore che rasenta la meraviglia. Essa rappresenta perfettamente il numinoso di Rudolf Otto e di Mircea Eliade, ovvero il sacro affascinante e tremendo.
La scena di Leonardo Di Caprio nei panni dell’astronomo Randall Mindy che in un crescendo di espressioni allarmate che squarciano il velo delle rassicurazioni ufficiali prorompe in un risoluto «moriremo tutti!», rimanda al medievale «memento mori», «ricordati che morirai», e ai monaci trappisti che nel Seicento lo adottarono come motto. L’ammonizione che un tempo i consacrati a Dio rivolgevano agli individui dimentichi di ciò che è proprio della nostra natura (l’uomo è l’unico animale cosciente della propria mortalità) oggi è pesante prerogativa degli scienziati, i nuovi trappisti investiti di un’autorevolezza dai contorni religiosi. E il loro messaggio è assoluto: che moriremo tutti è una verità indipendente dalla contingenza di una cometa che incoccerà la Terra, è il destino ineluttabile che alimenta la domanda di salvezza. Salvezza che non potrà venire dalla tecnologia.
Il fallimento della tecnologia
Un’interpretazione molto piatta del messaggio di Don’t Look Up è che se si permette alla superficialità del sistema dei media e agli interessi politici ed economici di interferire col lavoro degli scienziati, la sopravvivenza del genere umano è a rischio. Una tv meno stupida, imprenditori meno avidi e politici meno cinici faciliterebbero la difesa del pianeta da una catastrofe cosmica. In realtà la trama smentisce la rassicurante morale progressista: in Don’t Look Up la tecnologia fallisce rovinosamente tre volte (numero simbolico) e con ciò manifesta la sua inettitudine a portare la salvezza.
Fallisce la missione statalista di Russia-Cina-India contro la cometa a causa di una mega esplosione nel cosmodromo di Bajkonur, fallisce la missione neocapitalista della Bash americana che era sicura di poter conciliare gli imperativi della sicurezza con quelli del profitto e della crescita economica, fallisce pure il fantastico esodo attraverso le galassie che permette ad alcune migliaia di individui di raggiungere un pianeta abitabile, dove però i sopravvissuti vengono divorati dalla fauna locale.
Un messaggio cristico paradossale
Don’t Look Up non allude ad alcun messianismo tecnologico, il sacrificio degli scienziati non allineati non è funzionale alla redenzione del sistema. Non lo è nel film, dove la catastrofe non viene evitata, e non lo è nemmeno nella forma della rappresentazione che dovrebbe risvegliare le coscienze degli spettatori e dell’establishment nella realtà. Il messaggio è cristico, benché in una forma paradossale: i commensali dell’ultima cena prima dell’impatto sterminatore, cioè i tre scienziati incompresi e i loro cari, sono tutti agnostici che per conferire un’aura di solennità alla loro ultima esperienza relazionale si affidano alla preghiera del più misero fra loro, un giovane taccheggiatore.
«Padre Nostro e Onnipotente abbi pietà di noi stasera e chiediamo la tua grazia, perdona il nostro orgoglio, perdona i nostri dubbi, ma soprattutto Signore, ti chiediamo di amarci in questo momento buio. Affronteremo ciò che ci aspetta secondo il tuo divino volere con coraggio e accettazione. Amen». È il “sia fatta la tua volontà” di Gesù nell’ultima cena, aggiornato alla circostanza della sua seconda venuta: gli agnelli sacrificali stavolta non sono senza peccato, ma il loro sacrificio è ugualmente indispensabile perché si compia il divino volere. A renderlo pieno ed efficace è la sua accettazione da parte della vittima, come già fu per Cristo. Associati al sacrificio di Cristo, gli umani diventano corredentori di se stessi e rendono possibile il Suo ritorno.
La canzone rivelatrice
Pochi minuti prima delle scene finali che comprendono l’ultima cena con la preghiera del microcriminale Yule, c’è un altro momento topico in cui il senso dell’attesa soverchia completamente il terrore e l’orrore della fine. È quando la popstar Riley Bina (interpretata da Ariana Grande) intona la sua Don’t Look Up, un pop blues struggente che si conclude con queste parole: «Il vero amore non muore, tiene duro e non ti lascia andare. Guarda in alto! Non puoi negare i segni. Quello che stai aspettando, non aspettarlo più. È proprio sopra di te. Guardate in su e spegnete quella merdosa scatola delle notizie, perché morirete tutti fra poco. Guardate in su, arriva. Sono così contenta di essere qui con te, per sempre tra le tue braccia».
Il Regno dell’Uomo e quello di Dio
Grazie soprattutto a ripetuti interventi di papa Francesco, è recentemente tornato alla ribalta un libro scritto nel 1907 da un sacerdote anglicano convertito al cattolicesimo: Il padrone del mondo di Robert Hugh Benson. Vi si racconta l’avvento di un embrione di governo mondiale sotto l’egida di un personaggio carismatico che riunisce in sé alcuni degli attributi dell’Anticristo: l’apparente capacità di portare la pace nel mondo, l’odio implacabile e omicida nei confronti della Chiesa.
Dopo avere distrutto il Vaticano con la maggior parte dei suoi residenti, Felsenburgh (questo è il nome del personaggio) invia le sue forze armate a stanare l’ultimo papa, che si è dato il nome di Silvestro III e ha cercato riparo a Nazaret. Il pontefice attende il suo destino immerso nell’adorazione eucaristica, dopo avere celebrato l’ultima Messa della storia, perché l’assalto finale al papato coincide con l’inizio dell’Apocalisse.
Leggiamo nella traduzione di Paola Eletta Leoni: «Sì! Era giunta l’ora dell’Uomo, che Dio attendeva! Dall’alto, sotto l’ombra di quella volta tremante che si era fatta, in fondo, di un colore impensabile. Egli, a tutti ignoto fuor che a Lui, veniva. Sul Suo carro veloce veniva Colui contro il quale erano state sì a lungo rivolte le sfide». Benson e Adam McKay (il regista di Don’t Look Up) dicono la stessa cosa: perché venga il Regno di Dio, prima deve venire il Regno dell’Uomo, che coincide con un’autodistruzione. Solo se le conseguenze dell’usurpazione del trono sono portate all’estremo, cioè al suicidio, si possono realizzare le parole di Apocalisse 7, 10: «La salvezza appartiene al nostro Dio seduto sul trono e all’Agnello».
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